“Io non sono imparziale”. E’ onesto come sempre Nanni Morenti quando intervista i protagonisti del suo toccante Santiago, Italia un corposo, più che mai necessario film documentario sul golpe cileno del 1973 e su un’Italia pronta ad accogliere i rifugiati politici, che arriva nelle sale dal 6 dicembre per risvegliare le coscienze assopite e invitarci garbatamente ma fermamente a riflettere.
Il regista romano anche stavolta fa centro, arrivando a toccare nel profondo lo spettatore, facendo venire tumultuosamente a galla in un’ora e mezza di proiezione sentimenti come dolore, rabbia,  rimpianto, voglia di tornare alle barricate per difendere questa nostra ormai sbrindellata democrazia.

Nanni inizia il suo viaggio in questo doloroso capitolo della storia recente apparendo di spalle mentre osserva dall’alto la città di Santiago. Parte dal 1970 quando il “sogno ad occhi aperti” di un Cile pronto a sconfiggere le profonde ingiustizie sociali sembra avverarsi con l’elezione a furor di popolo di Salvador Allende. Ma misure come l’alfabetizzazione di massa, i prezzi calmierati per i beni di prima necessità, la nazionalizzazione del rame che ha smisuratamente arricchito i “cugini” del nord fanno paura alla borghesia cilena proprietaria delle fabbriche che fa sparire dai negozi alimenti essenziali come lo zucchero consegnandoli al mercato nero, a prezzi improponibili. Gli americani, privati dei lauti guadagni dello sfruttamento del rame e preoccupati che questo modello democratico possa attecchire anche in altri paesi, finanziano il principale quotidiano nazionale per avviare una feroce campagna diffamatoria contro il governo socialista.

Il quadro si fa chiaro attraverso i racconti di giornalisti, registi, insegnanti,  avvocati, medici, due ex militari del dittatore Pinochet, intervallati da spezzoni di filmati d’epoca che testimoniano l’assalto e il bombardamento del palazzo della Moneda dell’11 settembre 1973, l’ultimo discorso di Allende prima della morte, la presa del potere dei militari di Pinochet, gli arresti e le torture inflitte ai dissidenti assiepati nel gigantesco stadio di Santiago i desaparecidos, le struggenti esibizioni musicali degli Inti Illimani, gli accorati discorsi alla folla dell’attore Gian Maria Volontè molto amato in Cile.
Uomini, donne e bambini, terrorizzati, si misero in salvo saltando il muro della nostra ambasciata che, come racconta l’ambasciatore di allora, accolse centinaia di richiedenti asilo, offrendo loro cibo e materassi. Con l’arrivo dei lasciapassare molti arrivarono in Italia che li accolse offrendo lavoro, una nuova vita, una nuova patria.”Un paese che aveva fatto la lotta partigiana e che oggi non esiste più – sottolinea un imprenditore  ex rifugiato -, perché l’Italia del consumismo e dell’individualismo somiglia al peggior Cile”.