E’ possibile che una regista americana, per cui probabilmente la rivoluzione francese è un evento marginale che occupa un breve capitolo nei manuali scolastici, raccontare le vicende della giovane e discussa Maria Antonietta? C’est pas possible, dirfebbero i francesi stessi. Atteso con grande interesse all’ultimo Festival di Cannes ( presentato in concorso), l’ultimo film di Sofia Coppola, che sembra concludere un eventuale excursus sull’adolescenza malinconica dopo Il giardino delle vergini suicide (1999) e Lost in Traslation (2003), è stato accolto con freddezza soprattutto dalla parte francese della critica cinematografica. Lo stesso Alain Delon, chiamato ad interpretare il personaggio di Luigi XV al posto di Rip Torn, ha decisamente rifiutato il ruolo non considerando possibile che la Coppola ambisse a raccontare un personaggio storico lontano mille miglia dalle sue origini. Ma nonostante un evidente “puzza sotto il naso” esibito da un certo ambiente, l’intensa ricerca storica a cui la stessa Coppola ed il suo cast ( Kirsten Dunst e Jason Schwartzman in testa) si sono sottoposti, Marie Antoinette non ha alcuna ambizione di identificarsi come un’ esperienza politica, ma offre un ritratto giovane, fresco al di fuori delle paludate e polverose iconografie storiche di una regina che fu, innanzitutto, una donna-bambina. Tra una raffinata pasticceria nei colori pastello, rivestita di pizzi e trine destinati a divenire di tendenza oggi come allora, inebriata da cascate di champagne la discussa regina, nota come la rovina della Francia e per la sua celebre frase ” Il popolo non ha il pane? dategli le briosce.”, è rapprersentata attraverso una visione mobile e dinamica di un ambiente fino ad ora descritto attraverso la stacità del minuetto e delle articolate metodologie di corte. Se si abbandonano i manuali e non si pretende di riscontrare sullo schermo delle precisazioni storiche a tutti i costi, il film della Coppola non potrà che conquistare, coinvolgere od anche solo incuriosire per i molti aspetti che compongono un’ opera capace di rivisitare il passato attraverso un linguaggio ed uno sguardo moderno ed attuale.

Basta seguire l’arrivo di una principessa austriaca teen-ager nella rigida corte parigina per comprendere lo sconcerto e la solitudine di una adolescente di fronte ad un ambiente sconosciuto ed ostile, l’umiliazione di una giovane donna nel dover sostenere ben sette anni di matrimonio “bianco” a causa di un marito troppo “farloccco” più interessato ai complicati meccanismi di serrature e lucchetti che alla sua affascinante e volubile moglie, per poter dire senza alcuna possibilità di smentita “Marie Antoinette c’est moi!” Sostituiti i delicati minuetti di Rameau, Gluck e Vivaldi con le musicalità più forti e coinvolgenti del popo rock degli anni ottanta ( la colonna sonora riunisce pezzi di gruppi cult come The Cure, Radio Dept e New Order), Sofia Coppola racconta le fasi emotive ed emozionali di una adolscente in rosa, divisa tra la volubilità e la ludicità dei suoi pochi anni che la portano a guardare l’alba dividendo uno spinello con la sua corte e la necessità improvvisa di divenire donna e regina. Ma quest’opera rock oltre che su emozioni, musica ed evoluzione umana è basata su un estetica che coinvolge fotografia, scenografia ma, soprattutto, costumi. A quindici anni Sofia Coppola ( anche lei come la sua Maria Antonietta adolescente in un mondo di adulti) frequentava già gli studi di moda di importanti stilisti, assorbendo da quei luoghi proprio gli stimoli artistici per seguire uno stile o, forse, riportarlo a nuova gloria. Potrebbe non essere un caso che nell’anno in cui Karl Lagerfeld e John Galliano propongono sulle passerelle una rivisitazione dello stile settecentesco nelle giacche maschili, questa giovane regista americana abbia chiesto alla sua costumista Milena Canonero un centinaio d’abiti dal gusto retrò. Ma il tocco realmente glamour lo si rintraccia nelle calzature realizzate dallo stilista più trendy di New York, Manolo Blanik, divenuto famoso proprio per i suoi tacchi a rocchetta. Un accento di grande modernità a cui la Coppola non rinuncia per tutta la durata del film, caratterizzando atmosfere e personaggi fino a toccare una punta estrema e divertente, irrompendo nell’antica suntuosità di Versailles attraverso due All Star lilla.

di Tiziana Morganti