Qualche film dal basso budget ma dal grande impatto qualitativo

Nel desolato panorama di film italiani che ha contraddistinto il Festival di Roma (in primis il vincitore!) e le ultime pellicole di registi di fama o quelle prenatalizie uscite di recente in sala, ogni tanto brilla una stellina che fa di nuovo sperare in una possibile, vera rinascita della nostra cinematografia. Film piccoli ma belli, commoventi e divertenti, ben scritti e ben diretti da registi giovani e giovanissimi, accomunati da un tema scomodo e tosto come l’integrazione, affrontato in modi diversi, con mano leggera e la giusta ironia, senza grandi budget o grandi star.

Alì ha gli occhi azzurri del trentaquattrenne Claudio Giovannesi, giustamente premiato due volte dalla giuria internazionale del Festival, riesce a trascinarti nella vita emarginata di un gruppo di ragazzi di periferia, senza attori professionisti. Sempre al Festival di Roma si è fatta notare l’esilarante commedia Italian Movie del quarantacinquenne Matteo Pellegrini che speriamo la Eagle Pictures porti presto nelle sale. E il 29 novembre arriva al cinema Itaker – vietato agli italiani del trentatreenne Toni Tropia, “scoperto” dal lungimirante Michele Placido che con lui ha scritto la sceneggiatura del film (costato poco più di un paio di milioni di euro!) e ci si è ritagliato un bel cameo. Gli ormai noti e dolenti problemi di distribuzione non consentono all’Istituto Luce-Cinecittà di coprire centinaia di sale (come riesce purtroppo a tante insulse commedie che però garantiscono agli esercenti lauti incassi!), ma consigliamo al pubblico di non lasciarselo scappare.

Itaker è il racconto di un viaggio dall’Italia alla Germania nel 1962. Un viaggio particolare: a compierlo è Pietro (Tiziano Talarico), un bambino di 9 anni orfano di madre, partito per ritrovare il padre emigrato che da tempo non dà notizie. Ad accompagnarlo un sedicente amico del padre, Benito (Francesco Scianna), uno sfigato magliaro napoletano appena uscito di galera che torna in Germania in cerca di un riscatto personale. Sul loro percorso Pietro e Benito incontrano mondi diversi: quello della fabbrica di Bochum, la comunità italiana (gli itaker, “italianacci”, uno dei tanti appellativi dati agli emigrati italiani in Germania); il mondo dei magliari (capitanato da Placido) e del contrabbando, dell’incontro non sempre pacifico tra italiani e tedeschi. Diverse piccole patrie in cerca di identità. Sullo sfondo della storia cruciale ma poco ricordata dei nostri compatrioti costretti a espatriare per migliorarsi la vita, il racconto di una crescita e della lotta sempre presente tra sopravvivenza e sentimenti.

Michele Placido è rimasto colpito dal racconto di un bambino che era andato in cerca del padre emigrato negli anni ’60 dalla Puglia a Milano. Ne ha parlato con Trupia e insieme hanno scritto la sceneggiatura di questo film, girato tra il Trentino e la Romania con il sostegno di Rai Cinema e della Trentino Film Commission, che documenta con commovente sensibilità e tratti leggeri di commedia, la dura vita di chi lascia la propria patria per cercare un futuro migliore. Trupia, nato nel 1979, all’inizio era preoccupato di dover affrontare un film su quegli anni. «Mi spaventava – racconta -, la chiave è stata associare all’immigrazione il tema della paternità. La storia, anche se si svolge negli anni Sessanta, è  il riflesso di una situazione di instabilità culturale e di estrema insicurezza attualissima anche oggi, nel nostro e in molti altri paesi europei».

Ha voluto andare a fondo su questa seconda ondata migratoria poco trattata dalla cinematografia. «È un rimosso della storia italiana – dice – forse perché corrisponde al momento felice del boom economico». La chiave giusta per penetrare in quel mondo, spiega, è stata raccontarlo dal punto di vista di un bambino: «Mi piace pensare che lo sguardo del piccolo Pietro rifletta quello di tanti emigranti che sono partiti dalla loro terra ingenui e sprovveduti come bambini e hanno maturato un percorso umano che li ha predisposti al confronto e alla complessità della vita».

Il film nasce dalla commistione tra elementi inventati e sintesi di storie realmente accadute, sentite o lette. «L’ho ambientato tra il Trentino e la baraccopoli operaia di Bochum Wattenscheid, nella Nord-Westfalia – spiega Trupia – come suggeritomi da testimoni diretti. Ho visitato musei, consultato materiale fotografico e audiovisivo, visitato i luoghi in cui è ambientato il racconto. Mi ha fornito l’ispirazione il libro Radio Colonia con le lettere degli emigrati. Anche alcuni miei familiari allora si spostarono in Belgio, ho ricordi molto vividi di quando andammo a trovarli. Avevano trovato un certo benessere, ma anche l’ isolamento».

Altro elemento centrale della storia è la paternità. «Mi sono concentrato sulla scoperta del rapporto tra i due protagonisti, l’immigrazione fa fare i conti con la mancanza e il ritrovamento. Tutti e due cercano un’identità che ha poco a che fare con i rapporti carnali, è innanzitutto il frutto di uno scambio di esperienza e di vissuto. Pietro e Benito alla fine maturano un’idea della vita più aperta e completa». Tutto raccontato col tocco lieve della commedia. «Mi sono sforzato di dare alla storia un apparente carattere realistico, squarciato però dalla leggerezza e dalla sospensione che solo il punto di vista di un ragazzino che osserva il mondo può dare».

Tutti gli attori, spiega Trupia, sono stati un po’ coautori del film, portando il meglio del proprio bagaglio professionale. Placido si è cucito addosso il ruolo del piccolo e viscido boss mafioso. Scianna è siciliano ma ha dato al personaggio del guitto napoletano tutta la sua umanità e simpatia. Il film è impregnato della presenza discreta e incantata del piccolo Tiziano Talarico, scelto dopo un lunghissimo casting, generosi e bravi anche il pugliese Nicola Nocella che recita in toscano e l’attrice romena Monica Birlandeanu. «Sono stato un mese e mezzo a Napoli per conoscere i veri magliari, imparare il dialetto – spiega Scianna, che si è calato splendidamente nel suo personaggio -. È stata un’esperienza importante, con l’impegno si va avanti, finora mi sono mosso tra le difficoltà del mestiere, spero di fare sempre meglio». «Ai festival non ci hanno voluto – si rammarica Placido – ma uno sforzo come questo va premiato in ogni caso. Bisogna finanziare la cultura invece della politica, far girare le cose di qualità». Lui, approfitterà del suo tour teatrale per un’anteprima speciale del film a Trento il 3 dicembre e, promette, farà il possibile per farlo circolare nelle scuole.

Il finale è volutamente aperto. «I due si avviano verso un futuro incerto – conclude Trupia -, un po’ come quello che abbiamo davanti in questo momento». Che quella realtà sia ancora attuale lo dimostrano le parole che una giovane nata in Germania da genitori italiani emigrati in quegli anni ha scritto su Facebook: «La parola Itaker per noi è usata ancora oggi. In Italia ci chiamano tedeschi e non si fidano di noi. Siamo figli senza terra, sempre. Dove possiamo sentirci a casa?».