Una donna, matura ma piacente, interroga lo specchio. Le sue forme si indovinano sotto la lingerie di raso leggero che ha appena indossato. Il suo corpo è ancora gradevole, e lei è in cerca di conferme. “Stai bene mamma!”, commenta il ragazzo alle sue spalle, occhi compiaciuti e devoti. Lo sguardo si appunta sulle grazie materne: sedere, fianchi, seno, gambe. Ma non è la prima impressione quella che conta. Prima che chiunque urli all’incesto, nell’inquadratura (rigorosamente fissa) si introduce l’altro figlio di mammà, quello più spregiudicato. Il tono cambia improvvisamente, perché, una volta al completo, la prole si lancia nella presa in giro, un duetto dissacrante ai danni della madre e delle sottane a buon mercato: “Tre per 50 euro? Hai speso poco per fare la puttana”. Nell’incipit c’è già tutto il film, una storia che si snoda fotogramma per fotogramma, una perla dopo l’altra sul filo del dramma domestico. Questa pellicola è un piccolo capolavoro o un uovo di Colombo, il regista è un genio o un furbacchione. Joachim Lafosse ha riadattato una storia personale, compiendo un grande lavoro di introspezione. Il progetto è durato sette anni e ne è valsa la pena. Il film non fa altro che riprodurre una realtà familiare come tante, giovandosi di un cast ad alti livelli e di una regia magistrale. Il tutto è ben calibrato tra parole e silenzi, distruzione e autoflagellazione, coccole e sberle. C’è anche Edipo, ma per fortuna non è un clichè. Un Edipo che pretende di disporre di Giocasta a suo piacimento. Non si tratta dell’innocente abusato della Tv del dolore, ma di un bambinone troppo debole per lasciare la casa e il nutrimento materni. “Proprietà privata” racconta di genitori che provvedono a tutto, salvo insegnare l’autonomia, perché loro stessi non l’hanno mai imparata. Ali deboli, radici profonde e intricate. Importante la scelta dell’inquadratura, il piano sequenza fisso. Una scelta che si fa sentire soprattutto quando al trio si aggiunge il “quarto incomodo”, producendo una sensazione di soffocamento e mancanza di spazio vitale. Il “triangolo” si regge in un equilibrio incerto, tra cordoni ombelicali mai recisi (i due ragazzi sono addirittura gemelli) e i richiami della natura (il sesso non si consuma tra consanguinei) . Lo sa il papà saggio e monolitico, lo sa l’amante della mamma, lo sa la fidanzata del giovane Thierry. Joachim Lafosse ha avuto solo il coraggio di raccontare la verità. Le famiglie “Brambilla” e affini decantate dagli spot pubblicitari forse non esistono. E il karma dei genitori-bambini non si espia facilmente…

di Annapaola Paparo