Il contestato film prodotto dalla Mantovani

È stato premiato al Festival del Cinema di Roma per la migliore attrice (Isabella Ferrari) e il miglior regista (Paolo Franchi), il lungometraggio prodotto da Nicoletta Mantovani, dal titolo E la chiamano estate, proprio come la celebre canzone degli anni Sessanta di Bruno Martino. Eppure, non sembra che la pellicola in questione sia stata particolarmente apprezzata dal pubblico in sala che, con i suoi schiamazzi increduli (“Fate schifo!”, “Vergogna!”), ha costretto il regista a trincerarsi dietro un eloquente «Non pretendo di piacere a tutti».

Ad aver suscitato tanto scalpore tra gli spettatori è stata sicuramente la tormentata storia d’amore proposta nel film, che vede la coppia di quarantenni Anna e Dino alle prese con un legame lontano da ogni schema convenzionale. Il sesso è, infatti, totalmente assente dal loro rapporto a causa di un vero e proprio blocco psicologico dell’uomo. Un problema talmente umiliante da indurlo non solo ad iniziare una serie di incontri con prostitute e frequentatrici di locali per scambisti, ma anche a cercare gli ex fidanzati della sua donna per convincerli ad avere rapporti sessuali con lei.

Dino attua, quindi, una scissione tra eros e sentimento e si ritrova perciò costretto a condurre una doppia vita: i rapporti fisici occasionali fuori e il profondo senso di vuoto e disperazione a casa. Ma è proprio questa sofferenza che fa sentire Anna amata, nonostante tutto. La frustrazione per l’assenza del rapporto fisico viene, dunque, sublimata dal dolore di Dino. Meglio questo, per Anna, che la prigione dorata di un rapporto rassicurante ma pur sempre soffocante che non lascia spazio al respiro e all’immaginazione.

Nascono, a questo punto, spontanei alcuni interrogativi: si può chiamare amore tutto questo? È amore un amore che rinuncia al sesso per cercarlo altrove? E soprattutto, si può parlare di coraggio del regista? O piuttosto si tratta di una paradossale incoscienza che, dopo un’apertura shock, si abbandona a scene di sesso innegabilmente sgradevoli, non solo prive di sentimento, ma mai neppure gioiose. Dunque, film profondo, di riflessione, come sostiene Franchi, o semplicemente banale scadimento nel volgare?