Esce nelle sale Dalla vita in poi, dal 19 novembre, tratto da una storia vera

Non servono le gambe per raggiungere una meta e non serve la libertà per essere liberi. Ne è convinto il regista Gianfrancesco Lazotti che su questi concetti ha impostato il suo film Dalla vita in poi, plurivincitore ai festival di Taormina e Montreal, nelle sale dal 19 novembre distribuito dalla 01. Dopo essersi fatto le ossa in tante serie tv (a partire dagli inossidabili I ragazzi del muretto e Linda e il brigadiere), per questa commedia agro-dolce ben scritta e ben diretta per il grande schermo, originale nel tema e ben recitata dai giovani ma ormai confermati attori Cristiana Capotondi, Filippo Nigro e Nicoletta Romanoff,  il regista romano si è ispirato a una storia vera. La vicenda parte dall’innamoramento della coatta Rosalba (un’eccellente Romanoff) per il detenuto Danilo (un assai convincente Nigro), al quale fa scrivere lettere sentimentali dall’amica Katia (una ben maturata Capotondi), costretta dalla distrofia su una sedia a rotelle.

Quando Rosalba si stufa di lui, Katia scopre di essersene perdutamente innamorata, di volerlo conoscere e, a tutti i costi, sposare. «’Dalla vita in poi’ è una frase che Danilo dice incontrando Katia in parlatorio e che contiene speranza, futuro – spiega Lazotti -.  Sembra una storia drammatica, ma è una commedia divertente. L’ argomento serio è trattato con toni leggeri, affonda le radici nella commedia dell’arte, in Eduardo, Scarpelli, Monicelli, Scola.  Nel mio piccolissimo, mi rifaccio a queste radici presentando contenuti densi di significato con un linguaggio popolare e accessibile a tutti». Spiegando la storia dice: «Katia ha un handicap fisico e Danilo sta in galera; due vite senza futuro che proprio in questo limite trovano la loro assonanza. Il loro amore non nasce da un incontro ma si sviluppa nella loro testa durante un epistolare disperato e sincero. Non è semplicemente una storia d’amore, ma un piccolo romanzo eroico ed ironico in cui viene proposta, da un’angolatura diversa, la visione della vita. L’orizzonte più bello, certe volte, si trova negli occhi di una persona».

Racconta di essersi ispirato, per il personaggio di Katia, a una donna conosciuta casualmente che l’aveva colpito per ottimismo e spigliatezza. «I temi della detenzione e dell’handicap – precisa Lazotti – sono solo sullo sfondo. Quello che mi interessava davvero era tracciare a fondo i ritratti dei tre personaggi principali». «Katia è una donna che vuole solo vivere una vita normale come tutti – spiega la Capotondi -. Per interpretarla ho pensato che per compensare il fatto di non poter usare le gambe dovevo renderla tagliente, simpatica e politicamente scorretta». Del suo ruolo parecchio sopra le righe è entusiasta la Romanoff. «Finalmente mi sono trovata a recitare davvero, questo personaggio è stato una  liberazione. Nessun problema a dovermi esprimere in dialetto romanesco – dice l’attrice -, vivo a Roma da 31 anni!»