Il disarmante e sgrammaticato cantautore pugliese al cinema con Cado dalle Nubi divertimento puro tra gay, leghisti , terroni e parrocchiani.

« Si ha sempre più paura di ridere ma qui finalmente si ride, hanno riso anche quelli della commissione censura ». Lo afferma soddisfatto Carlo Rossella, presidente di Medusa, talmente convinto che il film Cado dalle Nubi, debutto cinematografico del comico e cantautore televisivo Checco Zalone, che ne ha distribuite nelle sale ben 430 copie. Ma cos’è che fa funzionare alla grande questa commedia politicamente scorretta senza le gratuite e usurate volgarità dei cinepanettoni? L’arguta intelligenza e la bravura del comico pugliese che furbescamente si è cucito addosso il ruolo del sempliciotto ignorante, sgrammaticato e surreale per poter puntare impunemente il dito contro i nostri degradati politicanti e affrontare, in chiave leggera ma determinata, alcuni temi caldi della cronaca come l’omofobia e certe posizioni razzistiche verso il Sud e gli immigrati. Barese, 32 anni, al secolo Luca Medici, col nome d’arte creato storpiando l’esclamazione “che cozzalone!” che nel suo dialetto significa “che cafone!”. Una laurea in giurisprudenza accuratamente occultata in un cassetto per far spazio alla sua passione vera per il canto e la satira che nel 2005 l’ha portato sul palco di Zelig e ora sul grande schermo.

Sono sue le esilaranti canzoni e la sceneggiatura del film, scritto col socio di sempre Gennaro Nunziante che cura anche la regia, la scelta azzeccata dei ruoli e del cast in cui spiccano i sempre più convincenti Dino Abbrescia e Fabio Troiano, la promettente Giulia Michelini collaudata in svariate fiction televisive, l’impeccabile Ivano Marescotti. La storia parte dalla splendida costa di Polignano a Mare dove Checco, cantante di pianobar-gelateria da 80 euro a serata, sogna un futuro da star. Mollato dalla ragazza di sempre che vuol metter su famiglia, ma non con un “fallito”, migra a Milano a caccia di un provino, ospite del cugino gay non dichiarato (Abbrescia) e del suo compagno (Troiano) che grazie a lui troveranno il coraggio di uscire allo scoperto in famiglia facendo finalmente “outlet”. Si ride quando Checco, vittima di uno scherzo atroce, approda a un raduno leghista convinto sia la festa dei calabresi, imbraccia la chitarra invocando la rapida costruzione del “ponte” e, ignaro, sostituisce l’acqua pura del Po della mitica Ampolla bossiana con la sua pipì. L’amore lo porta a insegnare musica ai ragazzi difficili dell’oratorio ma dovrà vedersela col padre della sua bella, leghista duro e puro, che odia a morte i “terroni” e per spregio fa sparire le orecchiette fatte con amore da mammà nella spazzatura. Alla fine il successo arriva, e a premiarlo sarà proprio la sua “meravigliosa mediocrità”, il modello che oggi offre la tv.

« Nessuna voglia di criticare i vari talent show – sottolinea Zalone -, anche se si prendono troppo sul serio ». « Volevamo fare un film piccolo e onesto, dal linguaggio semplice, ispirandoci a Blake Edwards ma con occhio attento alla commedia all’ italiana – spiega l’attore -. Il canovaccio è autobiografico, anch’io sono partito dal Sud per Milano con mire velleitare, volevo fare il jazzista, ma non sono poi così tamarro, qualche congiuntivo l’azzecco ». Lo sguardo sull’Italia è positivo, spiega Zalone, non retorico. « La Puglia è sempre descritta come territorio di degrado, di mafia, l’abbiamo fatta vedere com’è, bellissima. Avremmo voluto partire inquadrando la statua di Modugno, nativo della città, ma ancora non c’è perche familiari e sindaco litigano su come posizionarla ». Era facile cadere nella retorica della guerra tra Nord e Sud ma Checco fa l’apologia dei difetti, e questo crea l’effetto comico. Difficile invece era trovare la misura giusta per rappresentare la coppia gay (gli “uomini sessuali” come li chiama Checco) senza farla cadere nella macchietta. « Al primo impatto è stato difficile pescare nella mia parte femminile – racconta Fabio Troiano – ma trovata la chiave mi sono divertito a fare l’omosessuale ».
Un ritorno di Zalone a Zelig ancora non è certo: « Vorrei continuare col cinema – dice Checco -, ma senza pausa pranzo ».