Il capitale umano, dal 9 gennaio al cinema

La commedia umana che fa sorridere. È questa la puntata vincente di Paolo Virzì che riscatta finalmente il disastrato cinema italiano con Il Capitale umano, un affresco tragicomico e beffardo del nostro tempo, con venature di giallo, distribuito da 01 dal 9 gennaio su quattrocento schermi.

Per questo suo undicesimo film il regista toscano cercava un tono diverso, per esplorare fuori dalla classica commedia all’italiana. Dopo la “fuga” di Medusa, ha trovato il sostegno economico di Rai Cinema e dei francesi. Si è dunque ispirato all’omonimo romanzo di Stephen Amidon, sceneggiandone molto liberamente la storia con Francesco Bruni e Francesco Piccolo, spostandola da una ricca provincia americana del Connecticut alla nostrana Brianza e affidandola a un super collaudato poker di attori come Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, con un super jolly come Luigi Lo Cascio e i giovani e già validi Matilde Gioli, Giovanni Anzaldo e Guglielmo Pinelli.

La storia, che sottolinea la crisi della famiglia, di una città, di un Paese, è innescata dalla velleità di ascesa sociale di un piccolo e greve immobiliarista (Bentivoglio), s’incrocia coi sogni di una vita diversa di una donna ricca e infelice (Bruni Tedeschi) e le speculazioni finanziare spericolate del marito, col desiderio di un amore vero di sua figlia (Gioli), succuba delle ambizioni del padre. Un misterioso incidente alla vigilia delle feste di Natale farà infittire la trama corale di un film dall’umorismo nero che si compone come un mosaico, tra splendori e miserie di una provincia del Nord Italia.

Gli sceneggiatori hanno mantenuto la trama del libro, scomponendola però in tre capitoli che, come in un caleidoscopio, ripropongono le stesse vicende attraverso i tre diversi punti di vista dei protagonisti, fuorviando ogni volta lo spettatore, che scoprirà solo alla fine del film cosa sia veramente successo. Numerosi i temi in campo: l’avidità, la competizione, i conflitti sociali, l’agonismo, l’ambire alla ricchezza attraverso la speculazione, il ruolo marginale della cultura, i conflitti sociali e generazionali.  “Volevo far emergere il mondo benestante e il nostro tempo, senza moralismi, con un racconto senza enfasi apocalittiche che li facesse emergere – spiega Virzì -. Con un po’ di thriller indaghiamo su cosa c’è dietro sogni, aspettative, infelicità dei personaggi, cosa ha voluto dire nel carattere delle persone, soprattutto le più giovani, la speranza di facili arricchimenti”.

Il regista nella sua ricerca di un cinema diverso ha gettato lo sguardo oltre Oceano, ma restando in Lombardia. “Per me è questo un paesaggio esotico, affascinante, ricco e spaventoso, dove c’è la Borsa – spiega Virzì -, adatto per lanciare un allarme sul nostro tempo, su certi imprenditori alla Ricucci, che non ce la fanno a uscire dal grottesco”. In cui si cala magnificamente Bentivoglio. “Il mio personaggio supera con facilità il confine tra umano e disumano, pensa di fare tutto a fin di bene per i suoi, non sa di essere un mostro – dice l’attore -. Ma chiamarlo così non aiuta a capire quanto ci sia in tutti noi la capacità di superare questo limite con naturalezza”.

Per Gifuni è il film più livido di Virzì. “Il cinema finora non mi aveva chiesto di mettere in scena la mia parte più ‘sporca’ – dice l’attore -. Sono un mago della finanza tossica che vive di algoritmi e porta avanti da solo il peso della sua ricca e assai costosa dimora. Un piccolo campione di una umanità che abbiamo imparato a conoscere e con cui abbiamo imparato a convivere”. Lo Cascio è un professorino colto e astuto che mira al cuore della bella e fatua ‘castellana’ attraverso i film visionari di Carmelo Bene. “E’ fisicamente squallido, non credo mi somigli, mi sono chiesto come una donna così bella si possa innamorare di me – ironizza l’attore siciliano -. Sono lo strumento per farle credere di entrare in contatto con la cultura. Le motivazioni tra cultura e potere sono sghembe”. “Ho cercato di portare a me i sogni, la guerra interiore del mio personaggio – spiega Valeria Bruni Tedeschi-. Mi toccava la sua solitudine, l’aver messo un coperchio sui suoi sogni, una cosa che conosco, che mi tocca quando ti senti annegare e diventi cattivo”.

Per Virzì il messaggio del film viene fuori da solo: “Facciamo una riflessione – dice – e chiediamoci quale sia il nostro prezzo”.