“La mia classe” di Gaglianone nei migliori cinema italiani

Per farci entrare più profondamente in contatto con le realtà dei tanti immigrati nel nostro paese il regista Daniele Gaglianone ci ha regalato La mia classe, un bel film prodotto da Gianluca Arcopinto con l’aiuto di Rai Cinema e del Ministero, in arrivo nelle sale e nelle tante scuole di tutta Italia che ne hanno fatto richiesta, dopo l’ottimo esordio in vari festival internazionali (Istanbul, Londra, Madrid, Villerupt, Tolosa, Venezia).

Valerio Mastandrea è un intelligente, ironico e disponibile insegnante di italiano per studenti arrivati da ogni parte del mondo, costretti ad imparare la nostra lingua per poter ottenere il permesso di soggiorno. Giovani e meno giovani con i quali è impossibile non entrare in empatia, che rivelano l’inferno che hanno attraversato e che attraversano per avere il diritto di esistere.

Durante le riprese, raccontano il regista e il protagonista presentando il film a Roma, la realtà ha preso il sopravvento sulla finzione. “Questo film è un atto di liberazione da una situazione che mentre giravamo ci ha provocato un grande disagio – spiega Gaglianone -. La classe l’abbiamo costruita mettendo assieme studenti autentici scovati in vari di questi corsi per calarci il più possibile dentro la loro reale esperienza. Quando però la realtà ci è esplosa tra le mani, ho pensato seriamente di rinunciare a fare il film. Un’idea di sceneggiatura diventava un fatto reale e io avrei dovuto fare il secondino di una legalità che ritengo eticamente e politicamente illegittima e contro la quale il film puntava il dito”. Con Valerio e gli altri hanno fortunatamente deciso di andare avanti e far entrare nel film tutto il disagio che stavano provando in quella circostanza, mostrando anche le scene in cui le forze dell’ordine irrompono nell’ alloggio-rifugio di alcuni dei ragazzi il cui destino sarà segnato da un rimpatrio forzato che metterà seriamente a rischio la loro vita.

Gaglianone ha strutturato il film su due livelli che si intrecciano: uno in cui Mastandrea interpreta il professore e l’altro mostrando se stesso mentre sta girando il film, creando la giusta commistione tra documentario, film, fiction e dando soprattutto voce ai ragazzi. “Quando ci raccontano chi sono e da dove arrivano, gli studenti smettono di essere invisibili – dice il regista-, dei numeri di qualche macabra statistica che divide i morti dai sopravvissuti di un naufragio, i regolari dai clandestini”.

Neppure Mastandrea sapeva dov’era il confine tra finzione e realtà. “E’ il personaggio più borderline che ho interpretato – racconta l’attore romano-, dopo il primo giorno di riprese ero devastato, con un feroce mal di testa per la concentrazione, è un film che va oltre la costruzione del personaggio. Prima non sapevo che imparare l’italiano fosse un passaggio burocratico necessario per avere i documenti in regola –ammette – e non conoscevo l’esistenza di queste associazioni di volontariato che insegnano agli stranieri, ho scoperto le grosse problematiche di questo  precariato”. Essendo tra i fondatori della scuola romana intitolata a Gianmaria Volontè che insegna ai giovani a fare cinema, Valerio è soddisfatto che questo film abbia sviluppato in alcuni dei protagonisti la curiosità verso il mestiere di attore, la voglia di studiare. “La scuola Volontè nasce con lo stesso approccio di questo film – spiega-. Dobbiamo inventarci un sistema che permetta a tutto il cinema di esistere, aprire le sale invece di chiuderle, investire sulla straordinarietà di questa arte. Qui abbiamo filmato l’emozione, l’immediatezza, il confronto tra noi e il film. Ho conosciuto persone nuove, lavorato in maniera nuova – confessa -, non ho cambiato la mia percezione sull’integrazione, ma questa pellicola dà una possibilità in più data dalla verità. Ci vogliono cambiamenti culturali forti per formare nuove leve che abbiano un approccio contemporaneo alle cose. Si devono muovere tutti, non solo quelli che fanno film come questo”.

Per Gaglianone questo film nasce dalla sensazione disarmante di trovarsi a camminare su un campo minato insieme a degli amici di cui vogliamo prenderci cura, dove le mine però esplodono solo per loro”. Perché, come dice nel film Issa Tunkara della Costa D’avorio “ se mi rimandano nel mio paese, io mi faccio morto da solo”.