Il cinema di Kim Ki-duk potrebbe tranquillamente essere messo a confronto con quello di un grande del cinema americano come Martin Scorsese. In entrambi i casi, infatti, ci troviamo di fronte a una poetica della violenza che può essere esibita in differenti forme. Nella maggior parte dei casi, per entrambi i cineasti, è la fisicità della violenza che conta, per questo un film come Bad Guy potrebbe tranquillamente essere paragonato a Taxi Driver, o meglio, a una possibile evoluzione del personaggio Travis Bickle. Per la stessa ragione Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera fa invece venire in mente L’ultima tentazione di Cristo, ma con uno sguardo molto più terreno rispetto a quello di Scorsese, paradossalmente più vicino a quello di Paul Schrader, autore sì della sceneggiatura, ma portato a una riflessione spirituale più intimista, come quella de Lo spacciatore, guarda caso anche quello interpretato da Willem Dafoe. Una conferma dell’importanza del corpo nel processo di purificazione e Dafoe potrebbe senz’altro essere uno degli attori che Kim Ki-duk dovrebbe prendere in considerazione in previsione di un suo esordio negli Stati Uniti, notizia che si fa giorno dopo giorno sempre più insistente.

Questo preambolo cinefilo, ci tengo a precisarlo, consta di considerazioni squisitamente personali, perché la storia personale di questo prolifico cineasta coreana è fatta di episodi che in un modo o nell’altro giustificano gran parte dei suoi intensi e a tratti disturbanti racconti cinematografici, ma quello che certamente ci interessa di più in questo caso è ricordare il fatto che Ki-duk è un pittore e che è di fede cristiana. Sono senz’altro queste le due cose maggiormente caratterizzano Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera, la prima perché la composizione scenica del film è davvero magnifica e solo un artista a tutto tondo avrebbe potuto dare un tale equilibrio all’inquadratura con a disposizione un unico set e una natura rigogliosa. Segno che quando c’è il talento, non c’è bisogno di particolari mezzi da dispiegare. La seconda invece deve servire a non farci trarre in inganno nel momento in cui cerchiamo di analizzare il percorso spirituale all’interno del film, un desiderio di catarsi spirituale che nasce da una violenza atroce che pervade il racconto sin dalla prima stagione, quella della fanciullezza, il momento in cui scopriamo il reale significato degli elementi essenziali della vita: l’amore, la morte, i sentimenti primordiali.

Il messaggio è chiaro, il perdono è ciò che dobbiamo cercare sin dalla nascita e lo possiamo trovare solo dentro di noi, non prima però d’avere superato delle prove, anche fisiche, che ci provino fino allo stremo. Non facciamo trarre in inganno dal suggestivo monastero galleggiante (l’acqua, elemento fondamentale del cinema di Kim Ki-duk che ritroviamo in tutti i suoi film), non siamo di fronte a un esercizio di filosofia orientale, ma di fronte a un’opera cinematografica che vuole essere allo stesso tempo il segno di un passaggio. Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera segna l’inizio di una nuova fase per quest’autore che purtroppo arriva in Italia con colpevole ritardo da parte delle distribuzioni, dopo almeno quattro film acclamatissimi nei festival di tutto il mondo e un premio a Berlino 2004 per Samaritan Girl, film successivo a questo e che speriamo non faccia la fine degli altri che abbiamo perso. Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera è un film da non perdere, nonostante l’ingrato periodo d’uscita, nella speranza che in Italia ci sia ancora spazio per un discorso sul cinema d’autore che si è francamente un po’ perso per strada negli ultimi tempi.

di Alessandro De Simone