La fine è nota. Il percorso arcinoto. La struttura antica di decenni. Che al cinema sono secoli. E, se è sempre vero che, anche nel mondo di celluloide, nulla si crea e nulla di distrugge, il problema sta come sempre nel modo e nel grado di trasformazione. Così se a un regista, che si chiama Richard Loncraine, che è un regista inglese notissimo, che cavalca tra tv e cinema, commedia e thriller, viene in mente di riprendere lo schema classico della famigliola, modello e traduzione del domestico sogno americano, presa in ostaggio da un pugno di variegati delinquenti che dal papà, informatico in banca ed esperto in sistemi di sicurezza, vogliono qualcosa (nello specifico un trasferimento di milioni e milioni di dollari sul loro conto), dovrebbe non limitarsi a rifare un film come Ore disperate (che William Wyler diresse nel lontano 1955 con Humphrey Bogart cattivo di turno), già carico di epigoni che non val la pena di ricordare ma anche di un remake non malvagio e con qualche divertente trovata firmato nel ’90 da Michael Cimino (e interpretato da Mickey Rourke cattivone appena evaso e Anthony Hopkins marito sull’orlo della separazione). Dovrebbe inventarsi qualcosa che vada al di là dell’ennesimo remake in paurosa salsa contemporanea, dove l’assedio che la famiglia subisce rimanda all’assedio in cui l’America si sente. E non basta, in questo Firewall – Accesso negato, per aggiornare, fare del padre di famiglia un informatico e dei cattivi una frotta di avidoni carichi di gioielli tecnologici con cui poter controllare tutto e tutti, dalla cravatta alla penna, dall’orologio all’ovvio cellulare tuttofare.

Dovrebbe inventarsi qualcosa di più di ciò che lui presenta come “la sfida del caricare di pericolo ambienti come la casa e l’ufficio”. E non basta neppure Harrison Ford, anche se già portatore di un valore aggiunto in un film che vuol, coscienziosamente, essere puro intrattenimento. Mentre più significativa è la scelta del cattivo dalla faccia angelica il gelido Paul Bettany, pronto a entrare nei nostri incubi ben più di quanto non possa entrare nei nostri sogni un marito, decisamente ben messo (anche considerati i suoi sessantatre anni) ma qui troppo poco intrigante come Harrison Ford, nonostante ancora un volta riesca a miscelare emotività e irruenza ma mostrandolo solo nei momenti più drammatici. Non a caso la sua partner femminile, Virginia Madsen, dice di lui: «È uno dei pochi uomini di oggi che può interpretare un eroe come Gary Cooper o Robert Mitchum. Come erano un tempo gli uomini nei film, con quella integrità e quella sensibilità taciuta». E ha ragione se tutto questo non venisse fuori solo nei momenti in cui il suo terribile antagonista lo spinge allo stremo. Ma, dentro o fuori i nostri sogni, Ford piace comunque. E funziona, comunque. Almeno per la gran parte del pubblico che vuole tremare ma sapendo, appunto, che la fine è nota.

di Silvia Di Paola