Gabriele Muccino presenta il suo terzo film americano, in sala dal 10 gennaio
Stroncato dalla critica americana e dagli incassi di “soli” 13 milioni di dollari, contro i 20 milioni di budget (che per quel mercato equivalgono a un film a bassissimo costo!), Quello che so sull’amore è già stato venduto in tutta Europa, spopola in Russia, non trova però mercato in Giappone e Medioriente. Il regista de L’ultimo bacio, tra i pochi italiani ad aver trovato successo e porte aperte a Hollywood (grazie anche al potente Will Smith, protagonista dei suoi due primi film americani), spiega i retroscena che gli hanno impedito di fare un film “a modo suo”. Le cause dell’insuccesso sarebbero, a suo dire, i trailer confusi, un brutto manifesto, il titolo americano sbagliato (Giocare in ritirata) e, soprattutto, l’uscita nelle sale, alla vigilia di Natale, periodo praticamente morto. E in America, spiega Muccino, conta più il marketing del prodotto.
Come se non bastasse, gli hanno snaturato il film cambiandogli genere. «Non si è messo in moto il passaparola – si lamenta il regista -. Sulla carta era una commedia drammatica, di relazioni umane toccanti, che parlava di valori, della fatica di crescere, del ritrovarsi. Il distributore l’ha catalogata come commedia romantica e ben tredici produttori invadenti hanno detto la loro durante la lavorazione, mettendo bocca nel montaggio, pretendendo modifiche. Mi hanno fatto tagliare un paio di scene drammatiche importanti con Uma Thurman – racconta -, ho dovuto rigirarne alcune per rendere il film omogeneo».
Insomma, alla luce di queste spiegazioni si capisce come mai sia venuta fuori una commedia noiosa, insipida come un piatto di spaghetti scotti all’americana conditi col ketchup. Una storia trita e ritrita, di un ex campione di calcio bello e solo, finito in rovina, che tenta di riconquistare moglie e figlioletto ma, soprattutto, di ritrovarsi e assumersi le proprie responsabilità di adulto. Accetterà di allenare la squadretta di calcio del suo bambino facendo strage di cuori tra le ricche mamme dei frugoletti, annoiate e frustrate.
Un quadretto che piacerà agli americani, ma per noi un vero e proprio spreco di belle e brave attrici come Uma Thurman e Catherine Zeta-Jones, ridotte a macchiette assatanate di sesso che non perdono occasione per gettarsi tra le lenzuola del bel fustacchione. Stona persino il bravo compositore Andre Guerra nell’enfatica colonna sonora. Per non parlare del finale sdolcinato e prevedibile, come d’uopo nelle recenti, insulse commediole statunitensi. Tutta colpa dunque degli americani? «Il mio finale era aperto – sottolinea -, ma per fargli capire cosa stava succedendo ho dovuto rendere evidente la conclusione della storia».
Ma allora cosa ci sta a fare laggiù, dove deve scendere a compromessi? «Mi trovo a competere con i più grandi – spiega – è come giocare a calcio contro Messi. Sono un privilegiato, a parte Leone e Bertolucci credo di essere l’unico riuscito a entrare in una cultura che mi è ancora estranea. Sono tanto diversi da noi, non urlano mai, divorziano persino sottovoce».
Cosa aspetta dunque a tornare a ‘casa’? «Resto per sfida, non voglio uscire sconfitto dall’arena ma vincitore, o almeno con onore. Nella vita si può anche perdere, tornerei volentieri in Italia, un paese che amo, dove sono amato e posso fare i film che voglio. Lasciarmi questa porta aperta alle spalle mi dà forza». Medusa, assicura Giampaolo Letta, ha tante idee da fargli realizzare in futuro. E Muccino sta già scrivendo una storia “europea”, con protagonista stavolta non Uma Thurman (che si è detta pronta a lavorare ancora con lui) ma un’attrice molto giovane.