Il western secondo il regista de “Le iene”, in sala dal 17 gennaio

«Ho preso il ‘cappello’ di Franco Nero e l’ho messo sulla testa di Jamie Foxx». Così Quentin Tarantino spiega con ironia e dovizia di particolari il succo del suo Django Unchained, il suo primo “spaghetti western” in salsa colorata, che la Warner porterà su 500 schermi dal 17 gennaio. Un Django stavolta nero (il premio Oscar Jamie Foxx), schiavo nel sud degli Stati Uniti due anni prima dello scoppio della Guerra Civile, che un eccentrico cacciatore di taglie tedesco (il premio Oscar Christoph Waltz) libera dalle catene per farne il suo assistente nella ricerca di feroci criminali da consegnare alla giustizia vivi, ma più che altro morti, per riscuotere le ricche ricompense.

L’obiettivo di Django è invece ritrovare in qualche sperduta piantagione la moglie (Kerry Washington) venduta come schiava. La scoveranno a Candyland, famigerata piantagione del negriero Calvin Candie (Leonardo DiCaprio) dove la vicenda, con l’intervento del vecchio e perfido vecchio governante  nero (Samuel L. Jackson) avrà la sua spettacolare conclusione.

Il regista è approdato a Roma per l’anteprima del film, scortato dai suoi protagonisti, e ha spiegato alla stampa com’è nato il progetto. «Nei film di Hollywood c’è sempre un salvatore bianco – fa notare Tarantino -, io ho cercato di raccontare un mentore bianco che insegna al ragazzo nero il mestiere perché possa procedere nella sua missione». Il mentore è il forbito cavadenti dottor Schultz (Waltz) ironico, scaltro e velocissimo nell’estrarre il revolver, che aiuterà Django nella ricerca della moglie schiava con mosse argute, promettendogli la libertà in cambio dell’aiuto nella cattura dei più pericolosi ricercati.

Grande estimatore di registi nostrani come Leone e Corbucci, Tarantino si è ispirato ai loro capolavori per raccontare e far discutere sulla ferocia della schiavitù perché, a suo giudizio, il genere western rappresenta magistralmente il bene e il male. «Non può essere più terribile, surreale, atroce di come fu nella realtà – dice -. Non possiamo immaginare la sofferenza provata in questo paese. La realtà di quel periodo supera di gran lunga anche la storia più bella che si possa inventare».

Ha dunque sapientemente mescolato la narrativa sullo schiavismo con lo ‘spaghetti western’ che in Usa hanno ribattezzato ‘maccaroni western’, condito da raffiche di battute comiche  e scene pulp. «Sono i miei film preferiti – conferma -, anche per la musica da opera. In cento anni di cinema i film sullo schiavismo si contano sulle dita di una mano». Dal canto suo Foxx non vuol sprecare tempo a rispondere alle critiche del regista Spike Lee. «Abbiamo fatto il possibile per toccare al meglio il tema scottante dello schiavismo – dice l’attore – ma ero certo che qualcuno avrebbe comunque sparato sul film».

«È realizzato con un alto livello di sensibilità, abbiamo discusso a lungo su come noi vediamo il razzismo, portato la nostra verità emotiva – aggiunge Kerry Washington -, utile a elaborare quei fatti del passato. Consiglio di vedere il film prima di aprire bocca!». «Il film è intrattenimento – aggiunge Jackson -, ma deve creare repulsione per gli orrori della schiavitù». Foxx, cresciuto in Texas e avvezzo a western e cowboy, si è portato sul set il proprio cavallo. «È entrata con me nella storia – racconta -, è una femmina, non ama che gli si chiuda la bocca ma ci si è abituata!».

Waltz è stato presente a gran parte del processo creativo. Hanno provato parecchio tutti insieme prima di girare, «Per trovare la giusta intesa tra i protagonisti, farli entrare nei personaggi» spiega il regista. «Le battute delle sue sceneggiature sono perfette – sostiene Waltz -, non vanno cambiate». Quando Tarantino fa notare che Jackson invece cerca sempre di cambiarle, lui si giustifica dicendo: «Quentin conosce la musica, noi gli diamo il ritmo». «È uno dei pochi registi americani che sono anche autori totali – precisa Franco Nero, che nel film ha un breve ma esilarante dialogo con l’attuale Django -. Lavorare con lui è una piacevole vacanza, anche se, ridendo e scherzando, cerca la perfezione in ogni scena» (e ricorda che sul set metteva la musica del Django di Corbucci di cui Nero fu protagonista nel 1966).

Nelle tre opere di Wagner sulla saga nordica dell’Anello del Nibelungo, il regista ha trovato similitudini con la sua storia afroamericana,  rendendo quindi il suo protagonista una sorta di Sigfrido che cerca la sua Brunilde (non a caso ha chiamato Broomhilda la moglie di Django). Alla domanda se l’America sia ancora razzista la Washington replica secca: «Considerando quello che è successo l’altro giorno durante una partita del Milan direi che è un problema mondiale».