Il nuovo film di Sergio Castellitto, dall’8 novembre al cinema

«È stata un’avventura umana, dove ognuno di noi ha messo particelle della propria vita». Così Sergio Castellitto descrive il suo film Venuto al mondo, che Medusa ha coprodotto e distribuirà dall’8 novembre in 350 sale. Una pellicola “familiare”, che Castellitto ha realizzato dall’omonimo romanzo della moglie Margaret Mazzantini, affidando la parte del giovane conteso al figlio Pietro. Ma a dare vero smalto ai protagonisti di questo complesso e ambizioso film, sono una Penelope Cruz mai così intensa e i due bravissimi giovani attori bosniaci Adnan Haskovic e Saadet Aksoy.

Una nuova prova professionale per i due coniugi Castellitto, dopo la positiva esperienza di Non ti muovere, anche se stavolta la ricostruzione di una guerra, del prima e del dopo, attraverso le dolorose vicende personali dei protagonisti, era molto più complicata. E costosa. La storia comincia quando Gemma si reca a Sarajevo col figlio ventenne per assistere a una mostra in memoria delle vittime dell’assedio con le fotografie del marito. Aveva lasciato la città in fiamme col figlio appena nato, avuto da una madre surrogata perché lei si era scoperta sterile. Una vicenda che l’aveva sommersa di sensi di colpa e gelosia ma ora, tornando a Sarajevo, si troverà di fronte verità ancor più dolorose.

Penelope ha letto il libro e si è subito innamorata del ruolo di Gemma. «Era quasi una necessità fare questo viaggio con questa donna, non mi succede spesso – confessa l’attrice spagnola -. Il copione rispecchia l’essenza del romanzo. Ho accettato la parte tre anni prima di diventare madre, dopo ho capito ancora di più l’ossessione che lei ha di avere figli e il dolore per non poter diventare madre». A chi le fa notare che Gemma non sia una persona ‘politicamente corretta’ risponde: «Non mi chiedo mai se sono d’accordo col personaggio o se mi somiglia, cerco di capirne la psicologia. Non deve piacermi ma lo devo capire. La sua ossessione di avere un figlio viene dalla relazione ossessiva col marito. Lo conferma quando dice che vuole un figlio perché sarà ‘un lucchetto di carne per legarlo a me’. È una donna complicata, autolesionista, ha una vita piena di tribolazioni che la segnano col marchio del dolore, è una donna che sopravvive».

Mazzantini è soddisfatta del lavoro del marito anche se, ammette, «Gli scrittori non sono mai contenti delle riduzioni dei propri libri. Ma con Sergio è diverso – precisa -, mi aiuta ad orientarmi mentre scrivo. Era una storia che si poteva facilmente scavare, del romanzo è rimasta l’ossatura, lui e io abbiamo la stessa visione del mondo. Stavolta c’era da ricostruire una guerra, era più dura – ammette -, io sto molto attenta anche ai dettagli».

«Sei anni fa – ricorda Sergio – al nostro ritorno da un viaggio a Sarajevo, Margaret si mise a scrivere. Quando c’era la guerra lei era incinta di Pietro, quel ‘virus’ le era rimasto dentro per una decina d’anni. Là tutto è ancora acceso, è come interrotto. In tutto quell’orrore si svolge una storia d’amore, di sommersi e di salvati, di chi ce l’ha fatta e di chi no. Ho tagliato gli aspetti di fiction per fare vero cinema – spiega – Durante le riprese ero distrutto. Disperato, ma mai infelice. Il cinegiornalismo – continua il regista – ci ha insegnato un certo gusto per l’immagine. Ogni scena contiene un avvenimento interiore dei personaggi come nascita, morte, aborto, guerra, sofferenza. Il film vuole parlare all’intelligenza emotiva del pubblico, che spero si porti via qualcosa del film che riguardi la sua vita intima. È proprio vero che, come scrive Margaret nel libro ‘la vita è un buco che si infila in un altro buco’. Io ho cercato di mettere in scena qualcosa che mi emozionava, per arrivare ai sentimenti, raccontare i fondamentali archetipi dei rapporti umani. Non nego che si tratta di un film molto ambizioso!».