Matteo Garrone non delude mai. Con il nuovo film Il Racconto dei Racconti (in concorso il 14 maggio al Festival di Cannes e contemporaneamente in uscita in più di 400 sale italiane con 01 Distribution) ha rischiato, osando un nuovo genere poco praticato dal nostro cinema: il fantasy.
La voglia di mettersi nei guai, racconta, lo ha spinto a cambiare. Coraggio premiato da questo bel film dal taglio internazionale, girato in inglese, originale, magico, divertente e emozionante, con incursioni nell’horror, come tutte le favole, con un magnifico cast internazionale, stupendi costumi e suggestivi effetti speciali. Una fiaba classica, in tre episodi, con re, regine, principesse, orchi, maghi, mostri marini, con protagoniste tre donne: una madre morbosamente gelosa del figlio tanto atteso, una ragazzina che sogna il principe azzurro, una vecchia avida di gioventù.

Una bella opportunità per l’asfittico cinema italiano per lanciare un segnale di riscossa, che dovrebbe servire a ripopolare i cinema e ingolosire i mercati internazionali. Ci voleva dunque un regista intelligente e determinato come Matteo (un nome inflazionato ma di cui, in questo caso, andare orgogliosi!) che ha rischiato del suo per riportare in vita tre delle cinquanta fiabe de Lo Cunto de li Cunti, scritte in lingua napoletana nel ‘600 da Giambattista Basile, da cui provengono favole come Cenerentola, Il gatto con gli stivali, La bella addormentata nel bosco, che hanno ispirato scrittori come Andersen, Perrault, i fratelli Grimm.
Il quarantasettenne regista romano si è invece ispirato ai film horror di Mario Bava, al Pinocchio di Comencini, al Casanova di Fellini, all’Armata Brancaleone di Monicelli e al più moderno televisivo Trono di Spade, rubando le suggestioni pittoriche dai Capricci di Goya, incisioni che rappresentano un’umanità grottesca, realistica e fantastica, con elementi comici e macabri, che ha abilmente travasato nel film.

Garrone ha dato molta libertà espressiva agli attori, costruendo i personaggi sulle loro caratteristiche fisiche, come fa sempre nei suoi film. Ha sofferto a dover scegliere solo tre novelle (La pulce, La cerva fatata, La vecchia scorticata) di cui ha lasciato intatti i temi e i sentimenti fondamentali del libro, mostrandoli in tutta la loro modernità. Ha lavorato sodo con Albinati, Chiti e Gaudioso per intrecciare le tre fiabe in cui si colgono alcune ossessioni contemporanee come la smania per l’eterna giovinezza, l’essere pronte a tutto pur di avere un figlio, il conflitto tra generazioni, la violenza che una ragazza deve affrontare per diventare adulta.

Dopo aver avuto il via libera da RaiCinema, ministero, Regione Lazio, Apulia Film Commission, coproduttori francesi e inglesi, ha faticato a mettere insieme i 12 milioni di euro in contanti per dare il via alle riprese (ottenuti poi da una finanziaria francese dopo i no ripetuti delle banche di casa nostra!). Per starci dentro, visti i costi molto alti degli attori stranieri protagonisti (del calibro di Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, John C. Reilly), ha rinunciato alla sua percentuale, a girare in sequenza e con l’amata camera a mano. Per i costumi si è affidato con lungimiranza a Massimo Cantini Parrini, che in sole sei settimane ha sfornato abiti d’epoca da Oscar; per le suggestive scenografie a Dimitri Capuani, che ha girato per 8 mesi l’Italia scovando castelli e paesaggi reali, ma che sembrassero finti.
Il premio più importante non se lo aspetta da Cannes ma dal pubblico. Il suo sogno? Farne una serie, o comunque un secondo film.