Per il suo Dopo il matrimonio, candidato ufficiale all’Oscar 2007 per la Danimarca, Susanne Bier spera di conquistare la nomination, ma per scaramanzia non ha ancora pensato a cosa indosserà per sfilare sull’ambito tappeto rosso. Lo confessa sorridendo un po’ imbarazzata ai giornalisti durante la presentazione romana del film (la seconda dopo la recente Festa del Cinema), che Teodora distribuirà il 22 dicembre in una ventina di sale (devolvendo parte dei proventi all’organizzazione Save the Children per i bambini dei paesi in guerra). Poche, vista l’invasione prenatalizia in svariate centinaia di copie di indigesti “film-panettoni”, per una storia intensa, commovente, venata di mistero, recitata da attori a noi per lo più sconosciuti ma bravissimi (Mads Mikkelsen è il cattivo Le Chiffre nel nuovo James Bond Casino Royale), che la regista danese di Non desiderare la donna d’altri ha scritto con Anders Thomas Jensen, e girato tra India e Danimarca con un budget di 3 milioni di euro. Seguendo i dettami di Dogma: “Un movimento che consente agli attori di essere più realistici, più veri, che mi ha profondamente influenzata -ammette l’autrice –portandomi a concentrarmi più sui sentimenti dei personaggi che sulle scenografie e sui costumi”. Il risultato è un film drammatico sulle grandi scelte che si fanno nella vita e sui segreti che ognuno porta dentro. Un viaggio tra i meandri dell’animo umano che parte da un povero orfanotrofio indiano sostenuto dal quarantenne danese Jacob (Mikkelsen), che sta per chiudere i battenti per mancanza di fondi. Un ricco e a lui ignoto benefattore suo concittadino è pronto a donare svariati milioni di dollari, ma vuole che lui torni in patria per ritirarli personalmente. Lo inviterà pure alle nozze della figlia e lì Jacob scoprirà che la madre della sposa e moglie del magnate è il suo grande amore del passato. Una pura coincidenza o un piano prestabilito? a regista dà comunque un’immagine positiva di questa fetta di opulenta Scandinavia, facendo risaltare animo e sentimenti dei ricchi protagonisti: “Anch’io avevo pregiudizi su certi capitalisti, ho voluto superarli – spiega –, descriverli è stata una sfida, non tutti i ricchi pensano solo al denaro”.

India e Scandinavia, due mondi tanto lontani che si incontrano. Filo conduttore: i sentimenti. “Fino a quel fatidico 11 settembre ci reputavamo un’isola felice e benestante, lontana dal resto del mondo. Ho scelto di far partire la pellicola dall’India – racconta la Bier – per sottolineare che siamo parte di un unico mondo”. Il suo rapporto sul set con gli attori? “Ho chiesto loro di essere onesti, coraggiosi, di mantenere il loro senso dell’umorismo. La mattina prima delle riprese facevamo un’ora e mezzo di prove, anche senza dialoghi, per rendere i personaggi più credibili. Io lavoro in modo onesto e libero, ascoltando sempre il loro parere sulle mie scelte perché sono i piccoli dettagli che fanno le differenze”. A chi le chiede come mai il rapporto tra i sessi nei suoi film sia sempre molto conflittuale, perchè punti sempre sui drammi familiari Susannespiega: “I miei film non sono un’analisi sulla lotta tra i sessi ma sulle grandi questioni familiari che, per come vedo io il mondo oggi così frammentato, sono un tema a me molto vicino. Oggi la famiglia è fondamentale, bisogna lavorare perché, anche allargata, resti un punto di forza, un valore sempre più importante. Da noi si sta tornando al matrimonio classico, in bianco, in grande stile, si torna al romanticismo. Ma bisogna essere pronti ad accogliere anche i figli di precedenti matrimoni, la famiglia si è allargata e prima si accettano queste cose e meglio sarà. Da noi il temi di maggior dibattito politico riguarda l’integrazione con gli altri popoli. Il mondo oggi è più ampio, comprende anche i paesi più poveri, dobbiamo imparare ad abbracciarli, ci arricchiremo nei sentimenti”. Susanneha quasi ultimato Things We Lost In The Fire, il suo primo film hollywoodiano girato con Halle Berry e Benicio Del Toro per il colosso Dreamworks. Difficile il passaggio oltreoceano? “Ho fatto del mio meglio per restare fedele al mio stile – dice sicura- . Avevo mezzi giganteschi rispetto alla Danimarca ma poi girare è stato uguale. Sulla sceneggiatura mi aspettavo condizionamenti ma la stessa Dreamworks mi ha raccomandato di non scendere troppo a compromessi sfatando così i miei pregiudizi sugli Studios”.

di Betty Giuliani