Duro spaccato di lutto familiare firmato John Cameron Mitchell

Una famiglia di fronte a una tragedia che cambia la vita. L’amore che la tiene unita tra rabbia, bisogni, rivalità, colpe e speranze. L’universo di Becca e Howie Corbett, sicuro e confortevole, viene sconvolto dalla morte del figlioletto. Tutto resta appeso a un filo ma per loro c’è un’ancora di salvezza. Rabbit Hole diretto da John Cameron Mitchell con Nicole Kidman, Aaron Eckhart e Dianne Wiest, è un commovente affresco della perdita, della difficoltà di elaborare il lutto, un viaggio negli stati d’animo più dolorosi ma anche divertenti e sorprendenti dell’essere umano, che fanno restare attaccati alla vita, anche nella catastrofe. Perfetti i protagonisti, mai sopra le righe, e la sceneggiatura che ti fa entrare in punta di piedi, senza pietismo, nella straziante realtà di una famiglia normale alle prese con una ferita difficilmente rimarginabile, coinvolgendoti emotivamente con garbo.

Il titolo del film, tratto dall’omonima pièce teatrale vincitrice del Premio Pulitzer, adattata per il grande schermo dall’autore David Lindsay-Abaire senza sentimentalismi, richiama la caduta di Alice nel Paese delle Meraviglie dove accadono eventi impossibili, come l’esperienza surreale del lutto. La coppia del film è travolta dalla morte accidentale del loro figlio e scaraventata fuori dal proprio mondo. La controllata Becca (Kidman) vuole mettere da parte il passato e tenersi tutto dentro. Il più estroverso Howe (Eckhart) invece, si aggrappa ai ricordi, agli amici, sperando di rivitalizzare il proprio matrimonio. La Kidman, che ha anche coprodotto il film, si è tuffata senza riserve nel ruolo di Becca: «Mi sono confrontata con il suo stoicismo – dichiara l’attrice australiana -, ha toccato i miei nervi scoperti in modo talmente profondo da far paura. È una realtà psicologica che non avrei mai voluto indagare. Il mio approccio al personaggio è stato riconoscere il suo enorme dolore, credo sia così per ogni donna che perde un figlio».

Certe scene contengono anche sprazzi comici. «Credo che anche nei momenti di profondo dolore le persone possano continuare a essere divertenti – dice -, è molto consolatorio. L’umorismo è sempre presente, anche se è un umorismo nero». I guizzi umoristici della sceneggiatura hanno conquistato anche Heckhart, a Roma per presentare la pellicola al Festival del Film: «Cattura quei momenti familiari che sono sia divertenti che amari – dice -, porta alla luce quell’umorismo che nasce quando niente sembra più avere senso e si cerca un po’ di sollievo. In questa coppia si riconoscerà chi ha provato confusione, lutto, pressioni familiari, difficoltà coniugali, cose che ciascuno deve affrontare quotidianamente». La preparazione alla parte è stata impegnativa: «Come attore era impossibile cercare di convincermi che provavo lo stesso dolore, ma ho partecipato ai gruppi di sostegno per genitori che hanno perso un figlio – racconta -, il dolore era così intenso che nessun film lo può rendere, dura tutta la vita, va trattato con rispetto». Come ha saputo fare egregiamente il regista, che è riuscito a evitare il pericolo di trasformare la storia in un polpettone lacrimevole. «Ha perso un fratello da bambino – spiega Eckhart -, aveva la giusta sensibilità».