Peggio dei precedenti non si può fare, quindi proviamoci…
Immaginiamo un’ipotetica telefonata tra Matt Shakman e James Gunn.
«Oh Jimmy, come stai? Senti, ma tu come lo fai Superman?»
«Matt, Ciao! Ma guarda…io pensavo di fregarmene della solfa di Krypton che tanto non frega più niente a nessuno. Faccio una cosa un po’ psichedelica anni ’60 con il cane, la sorella fattona e un circo Barnum tutto intorno»
«Ah, carino. Ok, grazie»
Due reboot nella stessa estate che non sono Daredevil ma i personaggi fondanti degli universi Marvel e DC Comics: Superman e I Fantastici 4. E qui Shakman, regista dalla vasta esperienza televisiva, ha avuto un bel coraggio perché il pubblico era lì a chiedersi: «Ok, vediamo se anche stavolta fanno un disastro…»
La storia si svolge sulla Terra-828, quella cioè di un universo parallelo che da un lato dà la possibilità alla produzione di inventarsi un’ambientazione retrofuturistica molto kitsch, dall’altro evita domande imbarazzanti del tipo: «Dov’erano i Fantastici 4 durante l’Infinity War?» Questo consente al film di ricominciare da zero, con le sue regole, le sue estetiche e le sue aspirazioni. Shakman e il team ci tengono a precisare che non si tratta di un'”origin story” nel senso stretto (anche basta…), ma più che altro un racconto di “primi passi” nella presa di coscienza del proprio ruolo di supereroi.

La premessa è quella classica che chiunque familiarizzato con i fumetti conosce: Reed Richards, Sue Storm, Johnny Storm, Ben Grimm – cioè Mr Fantastic, Donna Invisibile, la Torcia Umana, La Cosa – combattono per difendere il loro mondo da un’entità cosmica terribile, Galactus, il divoratore di mondi, che infatti minaccia di mangiarselo, letteralmente. Ma c’è un twist sentimentale: Sue è incinta (Reed è il papà), e il nascituro (Franklin Richards) diventa uno degli elementi centrali del conflitto.
Esteticamente, il film prova a distinguersi. Un retrofuturismo con colori accesi, forme che ricordano gli anni ’60 ma con macchine volanti, design che alterna il kitsch al sublime. Gli abiti, le astronavi, gli interni, gli effetti luminosi sono tutti mescolati con gusto, cercando un equilibrio fra nostalgia e spettacolo moderno.
Le performance principali funzionano più o meno come un esperimento scientifico ben riuscito: Pedro Pascal nei panni di Reed Richards dimostra la gravità e l’intelligenza del genio, ma anche le sue insicurezze; Vanessa Kirby è un punto fermo, il cuore emotivo del film, la donna che non solo scopre di avere poteri ma deve fare i conti con la protezione della famiglia che cresce. Ogni donna nasce già con il superpotere di far nascere nuove vite (e scusate se è poco), in più Sue Storm può generare anche un superscudo per proteggerle. Joseph Quinn come Johnny Storm offre la solita dose di fuoco, temperamento e caos; Ebon Moss-Bachrach è La Cosa, la roccia dentro il gruppo, con il fisico che parla tanto quanto le parole (o qualche volta più delle parole).

Galactus (che è Ralph Ineson se n’è accorta solo la mamma) è l’antagonista di turno, enorme, minaccioso, quasi astratto in certi momenti, ma non privo di una qualche dimensione emotiva vista la grandezza cosmica del suo ruolo. Molto più concreto e spaventoso della nuvoletta fantozziana presente ne I Fantastici 4 e Silver Surfer di Tim Story (2007).
Un altro punto forte è il ritmo: l’azione è ben calibrata, le sequenze cosmiche affiancate a quelle intime, le situazioni catastrofiche intervallate dai momenti “la famiglia prima di tutto”. Però c’è un momento centrale, l’atto medio, che perde un po’ di smalto: alcune scene servono più che altro a mettere dialogo, a costruire legami fra i personaggi (cosa buona), ma danno anche la sensazione che la pellicola rallenti troppo, che la minaccia cosmica si prenda una pausa mentre il pubblico pensa “ok, ripartiamo con le botte?”
Parliamo degli effetti speciali: qui il film ha successo e inciampi, come ogni mega produzione che si rispetti. Alcuni look sono spettacolari, soprattutto quelli che riguardano la tecnologia retrò, il design spaziale, le astronavi e il contrasto fra scale enormi (Galactus) e scale minuscole (il neonato Franklin, il viso umano che soffre, che ama, che si spaventa). Ma (sì, c’è un “ma” grosso come una nave spaziale) certe sequenze CGI – specialmente quelle con il bambino e le interazioni molto ravvicinate – mostrano limiti: il viso, la pelle, i riflessi sembrano ogni tanto costruzioni digitali troppo perfette, troppo “computerizzate”, con texture che vacillano fra realistico e artificiale.
L’umorismo è presente, ma non è il protagonista assoluto: il film non è una commedia di supereroi che ride di sé, è più un film epico con battute qua e là per sdrammatizzare ma alcune cadono piatte, come se fossero state infilate per obbligo della produzione più che per scelta narrativa organica.
Il tema della famiglia è quello che tiene insieme il bizantino ingranaggio cosmico. Non è solo la famiglia fra i quattro membri, ma la famiglia che arriva con il nascituro: la responsabilità, la paura di ciò che verrà, il sacrificio personale. Responsabilità che non è solo verso il nascituro ma l’intero pianeta Terra con tutti i suoi abitanti. Sue che è incinta dà al film uno spessore che altri reboot non avevano: l’idea che i supereroi proteggeranno il mondo non solo per sé ma per ciò che lasceranno dietro. È un quid emotivo che aiuta, illumina, commuove se sei disposto a lasciarlo entrare.
Sul versante sceneggiatura, il film fa bene a dialogare con i fumetti, con la storia dei Fantastici Quattro, pur senza ingolfarsi in riferimenti da nerd e camei tossici. Si prende libertà, ma anche rispetto: non cerca di riscrivere tutto quanto, ma di reinterpretare, di dare nuova linfa. Il setting su Earth-828 serve non solo da escamotage narrativo ma anche per liberare il film da catene di continuity che avrebbero appesantito la storia. Certo pensaci due volte prima di citare la “stele di Rosetta” (importantissimo reperto archeologico rinvenuto nel 1799 a 130 km dal Cairo) visto che sei in un universo parallelo. Vabbè.
Shakman pare aver preso nota degli errori degli altri reboot, dei cliché che stancano, delle pretese visive che non salvano una storia debole. Questo si vede nel ritmo, nelle priorità: il film non perde troppo tempo a spiegare tutto, non si sfianca a inserire citazioni esterne che avrebbero senso solo per i fan, non cade nella trappola del «Tanto, se fai una scena spettacolosa, qualcuno la vedrà su TikTok» (sebbene la scena di Silver Surfer che dice «Io sono l’araldo del suo inizio e quello della vostra fine» su Instagram spacca).
Detto ciò, il film non è perfetto. Il villain principale, Galactus è mostruoso, è potente, ma la sua presenza emotiva resta in secondo piano rispetto alla calamità che rappresenta. Non senti sempre cosa vuole lui al di là della distruzione (anche se in fumetti Galactus non è esattamente un terapeuta in terapia, ma qualche sfumatura in più non avrebbe guastato). Il personaggio che eclissa tutti è forse il Silver Surfer di Julia Garner, per la sua bellezza scenica e i suoi conflitti interiori che sono la vera svolta del film.
Un altro punto su cui il film rischia di inciampare è l’equilibrio fra spettatore occasionale e fan hardcore. Alcune scelte sono pensate per chi conosce già la mitologia dei Fantastici Quattro: il bambino Franklin come elemento chiave nel conflitto, la comparsa di nomi o design tratti dai fumetti, il contrasto fra scale cosmiche e intime. Se non sei troppo ferrato, tutto fila bene, ma certi richiami possono sfuggire, sembrare vaghi, o addirittura confondere (se non sai chi è Franklin, o che ruolo ha Galactus nei fumetti, o cosa significhi Earth-828 vs Earth-616).

Chi non è un fan del fumetto potrebbe non sapere che il Silver Surfer donna non è nato qui ma nella serie Terra-X del 1999. Il Silver Surfer originale, creato nel 1966 da Stan Lee e Jack Kirby, si è sacrificato per salvare il proprio pianeta da Galactus, offrendosi come suo araldo, proprio come succede a Shalla-Bal nell’universo classificato Terra-9997. Ed è lei che troviamo qui.
Sul fronte emozionale il risultato è discreto ma non straordinario: certe scene familiari colpiscono, ma a volte la sensazione è che il film debba “fare effetto” e allora tira fuori musica potente, inquadrature ampie, momenti lacrimosi che sembrano messi per far scorrere le lacrime. Funzionano, ma in parte perché siamo predisposti: chi va a vedere un film Marvel con la famiglia in pericolo sa già che ci sarà qualche momento “cuore”. Il rischio è che dopo certe scene senti: va bene, hanno tirato fuori il sentimento, ma lo sforzo è visibile, come le cuciture di un costume da supereroe se l’illuminazione è sbagliata.
La parte finale, con lo scontro con Galactus, il salvataggio del mondo (ovvio), e il destino del piccolo Franklin, è soddisfacente: non rivoluziona il genere, ma ribadisce che si può fare bene, pur con le debolezze inevitabili di un blockbuster che deve piacere a molti. Le sequenze epiche funzionano, l’azione è visivamente spettacolare nella maggior parte dei casi, e comunque esce dalla sala con un senso di “ok, questo è un film che vale il biglietto”.
Alla fine I Fantastici Quattro: Gli inizi è quello che molti speravano: non è perfetto, ma è divertente, visivamente audace, con cuore. Ha le sue cadute (CGI troppo evidente, villain non sempre centrati, umorismo altalenante), ma rispetto ai Fantastici 4 propinati negli ultimi anni c’è un passo avanti. Se vuoi popcorn + dramma + astronavi + famiglia + qualche azione cosmica, questo è un film che fa bene il suo dovere. Se vuoi invece che ti rivoluzioni la percezione dei Fantastici Quattro o che ti resti nella memoria come “il grande film che ridefinirà i supereroi”, allora cerca un altro modo per passare la serata.