Cento fotografie per immortalare Carlo Verdone e i suoi quarant’anni di carriera. Foto di backstage e ritratti, scattati sui set o in studio da Claudio Porcarelli, racchiusi nell’elegante volume Uno, Dieci, Cento Verdone  pubblicato in collaborazione con il Gruppo Banco BPM che ha voluto rendere omaggio al genio artistico di un’icona del nostro cinema, profondo osservatore della realtà, dei pregi e difetti degli italiani raccontati con dissacrante, comica ironia, attraverso i suoi esilaranti personaggi.
Una galleria colorata che l’attore e regista romano ha dedicato alla madre Rossana, la prima che credette in lui come attore, incoraggiandolo ad affrontare il suo primo, terrorizzante, spettacolo teatrale nel 1977 con un calcio nel sedere, dicendogli: “Vai in scena, fregnone! Perché un giorno mi ringrazierai”.

La sua famiglia l’ha sempre stimolato a guardare gli artigiani del suo quartiere, incuneato tra Trastevere e Campo de’ Fiori, a ridere dei loro tic. “Sono sempre stato curioso delle fragilità, della mitomania, della mancanza di senso del ridicolo di molti individui che incontravo al mercato, in un bar, sul treno. Mi bastava sentirli parlare e catturavo il loro modo di pensare, di agire, erano il teatro ideale per trovare spunti esilaranti – ricorda lui, presentando il volume nel sontuoso Palazzo Altieri, sede romana del Banco BPM. Questo libro firma la sua carriera. “In quante anime mi sono calato, catturandone il Dna – spiega -. Mi annullavo con un furore creativo nei personaggi che andavo a interpretare, la mia forza è la naturalezza, la spontaneità, la sensibilità. Non provavo mai, andavo d’istinto, anche per le foto non riesco a stare in posa, divento meccanico, non sono più vero, ho bisogno di rapidità”.

Dagli anni ’70,sostiene, la figura maschile è molto cambiata: “Il femminismo ha capovolto tutto. Oggi è più difficile fare una commedia, i romani veraci sono stati deportati in anonime periferie, certi mercati sono spariti per far posto ai supermercati, la gente non si parla più dalle finestre. Sono l’ultimo ad aver utilizzato certi attori generici fantastici, erano la linfa della commedia all’italiana, oggi tentano tutti di fare i protagonisti ma spesso fanno il passo più lungo della gamba, l’omologazione è il guaio, si parla molto di meno e si digita molto di più”.
E’ convinto che viviamo in una sorta di Medioevo senza orizzonti. “I giovani criticano il cinema italiano per le storie esili, furbastre, è difficile dar loro torto. Noi registi dobbiamo raccontare il presente con molto tatto e la giusta ironia, rischiare di più”. E’ addolorato per la scomparsa di molte sale. “L’aggregazione si vive solo sul web ma è virtuale. La gente non vuole più stare insieme, non c’è più curiosità. Se cerchi l’anima in un racconto devi andare in sala, ma il cinema italiano deve fare di più”.