A dieci anni da L’uomo della pioggiaFrancis Ford Coppola torna dietro la macchina da presa per consegnare un film che si discosta nettamente dal percorso artistico di una intera vita. Un’altra giovinezza, interpretato da un Tim Roth in splendida forma interpretativa, lascia perplessi fin dalle prime immagini evidenziando una cifra stilistica ed uno sguardo registico assolutamente insolito per uno dei padri fondatori della New Hollywood degli anni settanta. Tratto dal romanzo omonimo di Mircea Eliade, il film concentra la sua attenzione sulla vita di Dominic Matei, un anziano professore che dopo essere stato colpito da un fulmine non solo sopravvive senza riportare danni permanenti ma gode di una rinnovata giovinezza fisica e mentale. Al rinvigorimento corrisponde soprattutto l’acquisizione di incredibili capacità intellettive che lo porterà ad approfondire la sua opera di linguistica orientale e ad incontrare nuovamente l’amore di una vita. “ La storia mi riguarda da vicino – ammette Coppola – A sessantasei anni mi sentivo frustrato: da otto anni non facevo un film, le mie aziende andavano a gonfie vele, ma la mia creatività era inappagata.” Ed è forse per questo motivo che dell’intensità emozionale e della pulizia narrativa di film come Il PadrinoI ragazzi della 56° stardaThe Conversation e Rusty il selvaggio non vi è alcuna traccia in questa ultima avventura artistica. Il Coppolaattuale sembra essere un uomo che per sua stessa ammissione finalmente riesce a fare da vecchio ciò che desiderava fare fin da giovane. Un desiderio che si riversa nella necessità di realizzare film personali prodotti in totale autonomia, rinunciando al puro entertainment ed allontanandosi in qualche modo dal suo passato. A questo punto verrebbe spontaneo chiedersi quando ed in che forma l’opera di Coppola sia stato puro e semplice intrattenimento, ma questo film, arrivato dopo una così lunga gestazione, parla chiaramente di un cambiamento di rotta riflesso di forti dubbi interiori. “Mi sentivo frustrato perché non riuscivo a terminare la sceneggiatura di un film che sognavo da tempo, Megalopolis. Siccome il copione toccava i concetti filosofici di tempo e coscienza l’ho spedito ad una mia compagna di liceo che oggi insegna mitologia comparata ed induismo alla University of Chicago. Mi ha risposto inviandomi alcune citazioni scritte proprio da Eliade . A quel punto sapevo di aver trovato la mia sceneggiatura”.

Da qui probabilmente anche la scelta di “arricchire” la vicenda con una serie infinita di simbolismi, immagini retoriche e riflessioni fino ad ora materiale sconosciuto per Coppola. Poco propenso ad elargire chiarimenti, “il padrino” , come viene chiamato nell’ambiente cinematografico, non offre molti appigli per comprendere pienamente il significato di scelte rappresentative dietro le quali si celano significati più ampi. “ Simbolismi? Si ce ne sono ma credo che le persone estranee al film possano comprenderli meglio. Amo il cinema che riesce a fondere pensiero ed emozione, rinunciando per una volta alla facilità espressiva dell’action. L’azione già di per se è una forma ben precisa di rappresentazione, mentre il pensiero deve trovarne una meno evidente proprio come il simbolismo. In fondo i simboli e le idee fanno eco gli uni agli altri”. E di allegorie l’intera pellicola si nutre senza risparmio. Dal fulmine, atto divino, alla rosa, simbolo di origine cristiana che dovrebbe rappresentare un processo di illuminazione, fino al più irritante ed ansiogeno doppio gioco d’identità che contraddistingue un altro aspetto della personalità di Dominic , un modo per dialogare con se stesso. Tra elementi di cultura cristiana, buddhista ed indù Coppola trasforma questa sua seconda giovinezza artistica in un puro ed asfissiante esercizio intellettuale all’interno del quale c’è veramente poco spazio per le emozioni, nonostante un interpretazione intensa e sentita dei suoi protagonisti. “ Quando fai un film di respiro universale ci vuole tempo per capire se può piacere o meno. Quando si fa un nuovo film ci si addentra in aree del tutto sconosciute che necessitano di un certo periodo per essere comprese proprio come accade per la letteratura e l’arte. Non ci dobbiamo preoccupare delle reazioni immediate. Non dobbiamo essere prigionieri di un successo immediato.” Il messaggio è chiaro. Per comprendere realmente questo film probabilmente dovremo aspettare altri dieci anni.

di Tiziana Morganti