Anche lui come Quel treno per Yuma di cui è protagonista “è in ritardo, arriva quando arriva”. Così Russell Crowe alla conferenza stampa si fa attendere per oltre un’ora e mezza, forse per render più incisiva la frase che chiude il film diretto da James Mangol, distribuito da Medusa in oltre 300 sale, remake del storico ma meno spettacolare film del ’57 con Glenn Ford. Ma l’attore australiano è un ritardatario recidivo coi giornalisti, che anche stavolta esausti lo vedono finalmente comparire col suo bel faccione ridente incorniciato da una informale chioma fluente e con indosso un’anonima maglietta e gilet blu che lo rendono meno truce del feroce fuorilegge Ben Wade, il “cattivo” del film, sguardo gelido, abiti e cappello sempre neri, scortato dall’ “onesto” storpio mandriano Dan Evans (un eccellente Christian Bale). Nel film è sempre elegante: “Ho detto la mia anche su quello che il mio personaggio doveva indossare – spiega Crowe -, e mia moglie si è divertita un mondo. Ben non ha bisogno di vestirsi da cow boy, è uno di successo, anche portando abiti di qualità dimostra di avere soldi, persino la sua pistola chiamata la mano di Dio ha sul calcio un crocifisso d’oro massiccio”. L’attore afferma di non essersi ispirato ai film western americani: “Non mi piacciono molto – dichiara -, hanno un’etica troppo semplicistica: i buoni tutti col cappello bianco, i cattivi con quello nero. Qui fino alla fine non capisci quanto il protagonista sia letale. Ben diversi i film di Sergio Leone o i western australiani, mi hanno influenzato di più”. Ci tiene a precisare che comunque questo non è il remake del classico di Delmer Daves: “Il primo era un film a basso budget, il nostro ha avuto 50 milioni di dollari, era ambientato tutto in una stanza, noi abbiamo fatto vedere spezzoni del viaggio dei due protagonisti. Nell’originale il dialogo era bello, e se riesci a rifare un bel dialogo ampliando la piattaforma e il tempo lo sviluppi meglio.”.

E infatti la storia pur ruotando inevitabilmente intorno alla lotta tra bene e male, mostra anche gustosissimi attacchi mozzafiato a blindatissime diligenze, spettacolari esplosioni, attacchi di pellerossa, furibonde cavalcate, bellezze da saloon, corpose e corrette citazioni bibliche, sottolinea come anche tra il buono e il cattivo alla fine ci possa essere comprensione. Un finale insomma da “sindrome di Stoccolma”, quella che fa sviluppare una sorta di amore tra vittima e carnefice? Alla domanda un po’ provocatoria l’attore sembra non capire: “Cos’è questa sindrome – risponde ironico ma un po’ seccato–, una canzone degli Abba?”. Concorda invece col vice presidente di Medusa Giampaolo Letta (che annuncia un paio di film sul genere top secret) sul fatto che il western oggi desti nuovamente un certo interesse internazionale: “Ma ci vuole una storia fresca, originale – dice l’attore -, a me interessa cosa c’è nel cuore e nell’anima delle persone. Mi affascinano gli esseri umani, per quanto contorti, strani, belli possano essere, per questo amo il mio lavoro”. Per questo dai panni del cattivo fuorilegge è passato a quelli dell’integerrismo poliziotto della narcotici che cerca di bloccare il cattivo trafficante Denzel Washington nel prossimo American Gangster di Ridley Scott (in uscita a gennaio) e sempre con Scottsta girando il quarto film, Body of Lies, in cui sarà un agente della Cia con Leo di Caprio.“Il detective di American Gangster forse non ruba ma forse non è proprio integerrimo: non tiene mai chiusa la patta dei pantaloni – risponde l’attore -, la moralità è fatta di tante cose”. Nel Treno per Yuma dice : “fai una buona azione e diventa un’abitudine”. Lui di buone abitudini ne ha prese tante? “E’ una domanda troppo personale – si schermisce -, vi prego non fatemi raccontare storie patetiche come ‘ non dormo se prima non racconto un fiaba ai miei figli’ o ‘la cosa più della della mia vita è stata vederli nascere’. Amo fare il padre, ancora non sono arrivato a sfruttare i miei figli per farmi pubblicità”.

di Betty Giuliani