Un uomo ed una donna giovani ed attraenti, uno stuolo di amici e fratelli che arricchiscono il panorama con tic e fobie, un messaggio naturalista di fondo non completamente espresso e l’insolita ambientazione del Bioparco di Roma come palcoscenico dell’eterna diatriba amorosa tra l’emisfero maschile e quello femminile. Questi, riassumendo, sono gli elementi che caratterizzano Una talpa al bioparco, l’ultimo lungometraggio firmato da Fulvio Ottaviano, tornato al cinema dopo sei anni di assenza, dopo Abbiamo solo fatto l’amore, con una storia costruita nel rispetto dei più classici canoni della commedia all’italiana. Una tradizione cinematografica che si esplica sia nella tecnica che nella struttura narrativa per gestire una vicenda piccola, indubbiamente serena e rilassante con alcuni momenti di elaborata ed efficace comicità ma che si discosta notevolmente dallo stile innovativo e surreale di Cresceranno i carciofi a Mimongo, film per il quale Ottaviano ha vinto il David di Donatello come miglior regista esordiente. Riprendendo alcuni modelli caratteriali (ancora una volta abbiamo un giovane in cerca di lavoro affiancato da un personaggio ecclettico e problematico allo stesso tempo) che determinarono il successo del suo esordio, finisce con il costruire un intreccio narrativo molto semplice e lineare ma che tende a lasciare a puro accenno alcune idee.

Escludendo i personaggi di David (Adriano Giannini) , Giorgia (Giorgia Surina) e Libero (Luca Angeletti) l’intero emisfero che gravita intorno a loro non sempre è dotato di particolare concretezza e piena espansione, dando la sensazione di trovarsi di fronte a degli input, a delle situazioni abbandonate in fase embrionale. Un peccato di costruzione che, comunque, viene facilmente perdonato in nome di una buona simbiosi recitativa tra Giannini ed Angeletti, capaci di dar vita ai momenti più esilaranti, trasformando la sequenza cinematografica in immediatezza teatrale e facendo dimenticare la non sempre felice performance di Giorgia Surina. Un giudizio che non riguarda assolutamente le sue capacità attoriali (è la sua prima esperienza cinematografica ed avrà sicuramente altre occasioni per affinare la tecnica) ma l’evoluzione e la natura del suo personaggio. Estrema, dura, indubbiamente libera e moderna la sua Giorgia tocca punte di forza esasperante. “Violenta” David in un bagno pubblico, si arruola nell’esercito ed è sempre pronta a menar le mani come il più bellicoso degli uomini. Tutto costruito ed assemblato per rappresentare questa idea di indipendenza e volontà assoluta, per raccontare un evidente cambiamento di rotta all’interno dell’emisfero femminile attraverso dei facili cliché maschili fin troppo superficiali anche solo per una commedia.

di Tiziana Morganti