Disperato come una domanda destinata a restare senza risposta. Perché se sei appena uscito da 12 anni di carcere, con le spalle cariche di un passato di molestie sessuali a bambine che avevano 9, 10, 11 anni, la normalità è un sogno, la volontà di non scivolare più in quella tentazione è una lacerazione e il futuro è un percorso che sembra senza scarti, obbligato, senza vie di fuga. E, se vuoi raccontare tutto questo rendendo protagonista un uomo che disgusta per ciò che ha fatto ma commuove per ciò che soffre, è necessario porre domande piuttosto che offrire risposte. È questo forse uno dei modi possibili di parlare di pedofilia (uno dei pochi tabù, anche cinematografici) non fissando il riflettore sulle vittime ma spostandolo sui carnefici, facendo ben attenzione a non regalarci l’ennesimo mostro da horror domestico ma un uomo malato che desidera solo dimenticare e dimenticarsi, assimilare (metabolizzare ciò che ha fatto) e assimilarsi. Questo ha tentato di fare l’esordiente Nicole Kassel, che dalla piéce titolata The Woodsman era rimasta folgorata («Mi sembrava un testo ossessionante, una storia importante da raccontare») un po’ di tempo fa e che questo omonimo film (in arrivo sui nostri schermi) ha deciso di farlo dopo aver vinto le titubanze del produttore Lee Daniels, impressionato dalla sceneggiatura ma perplesso sull’affidamento della regia ad un esordiente.

A quel punto si trattava di buttare il personaggio della piéce nel mondo, nell’universo visivo della sua quotidianità, ruvida, essenziale, al limite squallida, e di farlo interagire con gli altri. Col rifiuto degli altri, col distacco, col fastidio, con la paura, con l’incapacità di perdono. Come dice Kevin Bacon, dolente protagonista del film capace di esprimersi anche e soprattutto senza parole, tra pieghe espressive e smagliature verbali, zigzagando per il percorso tortuoso di una interpretazione contratta e lacerata: «Per voi europei è forse più facile perdonare, ma noi americani di solito non ci riusciamo molto facilmente. E anche io, anche dopo questo film, dopo tutto il lavoro che ho fatto sul personaggio, non so se riuscirei a perdonare il molestatore di mia figlia. Questa è una domanda, l’altra è se davvero gli uomini malati di sesso possono guarire».Risposte, appunto, non ce ne sono. Ma la Kassel, lavorando con rigore e sensibilità, durezza e delicatezza insieme, sottraendo e scarnificando e scivolando solo a tratti, quando la lentezza narrativa si traduce in un ritmo irrimediabilmente fiacco, ce l’ha messa tutta almeno per costringere lo spettatore ad un pugno di interrogativi sgradevoli. E con lei Bacon, entrando non solo nei panni del pedofilo ma anche in quelli di produttore esecutivo per esserne coinvolto, come spiega lui, «Completamente, come richiedeva un soggetto così rischioso, solitamente non affrontato esplicitamente ma solo additando i pedofili come dei mostri, mentre qui tutto viene affrontato realisticamente, senza essere filtrato dai canoni hollywoodiani» e scegliendo come sua partner la moglie Kyra Sedgwick, per rendere lo sforzo mimetico ancora più completo, più totalizzante.

Così eccolo, straordinariamente interpretato, questo uomo timido e indurito nel contempo, lucido e, in un attimo, pronto a perdersi nelle sue ossessioni, sospeso dentro un vuoto morale che vorrebbe riempire, dentro una devianza che vorrebbe indirizzare, dentro l’amore di una donna che, per lui, è solo una goccia di desiderio tra tante ma che è l’unica salvezza possibile, lì e in quel momento. Eccolo un uomo qualunque sbertucciato dalla vita e da se stesso, quasi stritolato dal peso del passato che incombe sul futuro. Un uomo che ripugna eppure stringe il cuore. Un uomo che, suggerisce la chiusa del film, potrebbe farcela. Alla fine. Salvarsi. Eppure questo è il peggio di The Woodsman che ha il pregio di parlarci di pedofilia eludendo le solite banalità ma ha il difetto di farsi continuamente intrigare da un sotteso buonismo che è molto (troppo) più che necessità di sperare. Che ha il coraggio di fare protagonista un pedofilo, uomo e non mostro, ma non ha il coraggio di spingersi davvero in fondo, davvero lì dove sono le ragioni del bisogno, istintive, recondite, inaudite: nel buio che non offre appigli.

di Silvia Di Paola