Interessante opera in digitale, questo Natural City può definirsi come il punto d’incontro di atmosfere cyberpunk con tematiche da science-fiction post-apocalittico, lontano anni luce dal suo presunto primo ispiratore (Blade Runner) ma vicino altresì ad un filone prettamente orientale che, dati i proibitivi costi di allestimento, si è potuto esprimere al meglio solo con l’animazione (AkiraGhost in the ShellAD Police…). Siamo nel 2080. Un mondo, in parte distrutto da non precisati eventi bellici, concentra la propria attenzione sull’impresa disperata e derisa di un poliziotto innamorato che tenta di salvare una ballerina cyborg di nome Ria dall’inevitabile disattivazione. Gli organismi cibernetici di Nin Byung-Chun hanno infatti la poco simpatica caratteristica di conoscere con certezza la propria “data di scadenza” (così la si definisce), e quella di Ria è a distanza di tre giorni dal momento in cui R (il suo spasimante umano) decide di portarsela in casa per trascorrere con lei ogni istante delle sue ultime settantadue ore. L’unico tentativo per fornire una più longeva esistenza al cyborg sarà un trapianto misto di DNA e microchip nel corpo della giovane prostituta Cyon che, al contrario di Ria, è tutto fuorché accondiscendente ai voleri di R.

Basta attendere molto poco dall’inizio del film per ritrovarsi nell’androne simil-US Robotics di Alex Proyas dove i due innamorati usano incontrarsi ogni giorno per compiere il loro viaggio virtuale verso una futuristica Neverland, una terra di sogno che quotidianamente si promettono ma che mai raggiungeranno. Qui si gioca molto sul rapporto uomo-macchina e quella pseudo-coscienza cibernetica utilizzata da Proyas per il suo “Sonny”, diviene qualcosa di ancora più intimo, vera e propria espressione della strana chimica misterica che comunemente chiamiamo amore, ed ecco che il suo I, Robot (racconto di una presa di coscienza) diviene nelle mani di Min un “My Robot” (storia di una reciproca appartenenza tra chi è vivo e chi simula di esserlo in tutto e per tutto). La soluzione è una offuscata visione del reale che ben rispecchia la crisi di intentità di coloro i quali si muovono in un mondo di “ombre e nebbia”, non avendo mai la certezza di poter distinguere un essere vivente da uno artificiale. In effetti nell’opera di Min non è a rischio la sopravvivenza del genere umano ma la sua identità, quando l’unica differenza tra R e Ria (notiamo l’assonanza che ci ricorda quando Ria sia complementare ad R) è che quest’ultima sa con certezza quando morirà, ma l’elemento più affascinante è il fatto che sia lei stessa a sceglierlo.

di Alessio Sperati