“Il cecchino”, thriller d’azione nelle sale dal 1 maggio

«Lavorare con mio padre è come andare sulle montagne russe». Lo confessa Violante Placido cui papà Michele ha ritagliato un piccolo ma intenso ruolo nel suo primo film francese Il Cecchino, nelle sale dal primo maggio con 01 Distribution. Un poliziesco ad alta tensione girato interamente in Francia, con rocambolesche rapine, inseguimenti, sparatorie, violenze di ogni tipo, un mare di sangue e tanta suspense, affidato a un cast stellare e prevalentemente maschile. Nei panni dei “cattivi” Mathieu Kassovitz, Olivier Gourmet, Francis Renaud, Nicolas Briancon, Jerome Pouly e Luca Argentero, cui darà una caccia spietata il poliziotto Daniel Auteuil.

Un’ora e mezza col cuore in gola per quest’ottimo film di genere, costato circa 14 milioni di euro e già venduto in diversi paesi, prodotto da Fabio Conversi (che da anni distribuisce in Francia film italiani) con partner francesi e belgi e, per l’Italia, con Rai Cinema. Al centro della storia, spietati rapinatori di banche, un inafferrabile e infallibile cecchino ben noto ai servizi segreti, un poliziotto con un figlio morto nella guerra in Afghanistan che dà loro la caccia e un maniaco serial killer che si accanisce sulle donne.

«Di questo film non ho scritto un rigo, l’ho solo girato – precisa Placido -. Andare in Francia non è stata una scelta, hanno apprezzato molto il mio Romanzo criminale e mi hanno chiamato. Ho diretto in base alle mie emozioni. Questo è il mio Romanzo criminale francese, più che un film politico lo definirei un film morale, visto che alcuni ex militari preferiscono rapinare le banche che andare a sparare». Spiega la sua predilezione per le storie di malavita dicendo: «Faccio un genere in cui il male è protagonista, con personaggi che hanno tutti un lato oscuro, mi trovo bene in loro compagnia. È interessante lavorarci per capire più a fondo l’esistenza umana».

Il “rapinatore” Argentero assolve il suo personaggio: «Nico non è un vero cattivo, ha zone d’ombra come ogni animo umano, fa parte di una banda a suo modo ‘etica’, il film racconta il sentimento che li lega. Anche il commissario Mattei non è un eroe puro». Di Placido regista dice: «Sul set ha sopperito alla mia totale mancanza di preparazione accademica. È imprevedibile, con lui è impossibile prepararsi prima di girare, sul set ti rivolta come un calzino e ti plasma come vuole. È divertente e terrorizzante, non sei mai tranquillo, non puoi mai dare nulla per scontato anche se devi girare una piccola scena o dire solo una battuta. È una bellissima lezione di cinema».

Violante conferma, definendo il padre un regista “viscerale, istintivo”. Lei interpreta la moglie di Argentero: «Ma non la solita pupa del gangster – precisa -, è una donna vera, impalpabile, normale, consapevole di stare con un uomo pericoloso col quale però vuole cambiare vita». E lei in un certo senso l’ha già fatto, dedicandosi soprattutto alla musica, con un tour e un album di suoi brani  in uscita a settembre e un occhio pure su Sanremo. Pur non rinunciando del tutto al cinema, dove tornerà prossimamente con il film di Rolando Stefanelli in cui si intrecciano tante storie di vita reale dai toni noir e fiabeschi, con personaggi dannati e emarginati.

Michele Placido, invece, anche se vi partecipa da attore, non ama il cinema nostrano d’oggi. «Facciamo soprattutto la commedia, un genere che non rispecchia la realtà del nostro paese, che è una tragedia. Anch’io in Viva l’Italia ho provato a ridicolizzare un politico, ma basta guardare un telegiornale per capire che la parte oscura umana è predominante». La sua ricetta per la rinascita del nostro cinema che col neorealismo si è imposto nel mondo? «Rinnovare tutta la cultura del nostro paese e non andare solo a caccia di audience. Vedrei bene uno come Moretti al ministero della cultura – azzarda -, ci vuole uno che sappia di cinema». Intanto si prepara a girare, sempre da regista, il prossimo autunno ancora in Francia il film La scelta, fedele al romanzo di Pirandello, ma col finale cambiato. «Una grande storia d’amore tra una coppia matura senza figli – spiega -. Lei dopo una violenza resterà incinta».

Nell’attesa, a metà giugno produrrà e girerà a Roma un piccolo film con giovani attori di teatro. «Si svolge in una stanza, con la famiglia riunita a cena e il figlio che annuncia che l’indomani si suiciderà – racconta -. È la metafora dell’Italia che si disgrega, in cui non è più possibile vivere in modo decente. È il mio segnale per dire di continuare a fare cinema per non farlo morire, ricostruire dalle macerie la nostra cultura. Io ci metto la mia esperienza, speriamo che qualche politico illuminato faccia il resto». Come, per esempio, avallare il film che lui vorrebbe ma non può fare, sui collegamenti tra mafia e Stato. «Non si è raccontato quasi nulla di questi ultimi dieci anni, sarebbe quasi un dovere, io sarei pronto. Gli autori, salvo qualche rara eccezione, si autocensurano invece che andare più a fondo nella storia del nostro Paese. Sulla vicenda di Dell’Utri, per esempio, gli americani avrebbero già fatto un film, la storia è su tutti i giornali, la sceneggiatura praticamente è già scritta».