Finalmente un vero film sullo studio, l’apprendimento e lo splendore delle arti marziali: secco e al contempo astratto, realistico, romantico, violento (il termine crudo sarebbe più appropriato) per un genere, il “wuxipian” nato e cresciuto nel Paese della Grande Muraglia, troppo spesso fonte d’ispirazione per pellicole destinate al grande pubblico occidentale. Molte volte, in questi ultimi anni, si è visto combattere uno o più guerrieri (medioevali La tigre e il dragone e feudali La foresta dei pugnali volanti, postmoderni e rivoluzionari Matrix fino all’ultima produzione firmata Luc Besson) intenti in ardimentosi e acrobatici voli in ambienti apparentemente privi di gravità. Perfino un superuomo tormentato come Bruce Banner / Hulk si librava nel cielo con enormi e spettacolari balzi in cerca della sua dolce amata. Il regista di questo anomalo “cappa e spada”, atipico e per questo infinitamente coraggioso, allestisce da un vecchio romanzo degli anni Settanta un’avventura dal profumo lontano, tra il romanzo cavalleresco e il western più brutale. Il titolo è un omaggio al cinema dell’indimenticabile Akira Kurosawa, autore di quel celebre manifesto sul Giappone in bianco e nero, tanto eroico quanto amaro, fonte d’ispirazione per intere generazioni di cineasti (su tutti John Sturges e Sergio Leone). Seven Swords ruota attorno ad un piccolo villaggio sottomesso al potere centrale di uno spietato ufficiale e dal suo esercito, il quale bandisce la pratica delle arti marziali.

Alla lotta prendono parte un manipolo di giovani, istruiti dalla sapiente esperienza di un vecchio maestro espulso a causa delle sue conoscenze “proibite”. Ciascun personaggio possiede una spada, unica arma di difesa per contrastare il temibile usurpatore; l’aspetto più interessante di questa scelta ricade proprio sull’uso delle lame, veri e propri prolungamenti della personalità, autentici specchi dell’anima degli impavidi duellanti. Questi eroi non vengono relegati ai margini della società, costretti a vagare in cerca di se stessi, al contario respirano, agiscono e vivono in mezzo alla gente comune. L’originalità si ravvisa anche dalle scene d’azione, frenetiche, quando uniscono l’amore per le storie di “spada” (come nelle migliori pellicole del passato) ad un certo realismo da faccia a faccia (di particolare interesse la sequenza di un duello in una specie di corridoio); intense, con tuffi in atmosfere quasi fiabesche, dense di emozione (la fuga del destriero Fucile in cerca del padrone è commovente). Se da un lato Seven Swords spiega le ali verso il racconto epico, fitto di situazioni poetiche, dall’altro si trascina dietro un lungo strascico di bestialità con scalpi che schizzano, fiumi di sangue ad invadere lo schemo e un certo crepuscolarismo di fondo, tanto da far parlare qualcuno di un accostamento con il cinema del nichilista Sam Peckinpah. L’opera dovrebbe essere il prologo per un progetto a più riprese con il quale il regista Tsui Hark vorrebbe continuare a far cavalcare magnifici sette dagli occhi a mandorla verso nuovi tramonti.

di Ilario Pieri