Balcani, primi anni ’90. Un treno su cui viaggiano centinaia di profughi all’improvviso viene bloccato da un gruppo di uomini armati. Nei convogli ci sono anziani, donne e bambini. Non se ne saprà più nulla. Cosa ne è stato? Chi ha guidato i militari? Parte da qui, da un episodio realmente accaduto, Nema problema, film d’esordio di Giancarlo Bocchi, nelle sale dal 7 maggio. Sulla sparizione del treno e sul misterioso comandante Jako, che ne è considerato il responsabile, indaga Lorenzi (Vincent Riotta), inviato da un grande giornale italiano sul fronte della guerra balcanica. Gli si affianca Aldo Puhar (Zan Marolt), un interprete locale che nasconde la sua vera identità. Durante il viaggio verso la città di Vaku ai due si aggiungeranno Maxime (Fabrizio Rongione), inesperto giornalista inizialmente pieno di ideali, e Sanja (Labina Mitevska), una giovane donna che era sul quel treno e che ora è alla ricerca dei parenti dispersi. Ognuno è a caccia della propria verità, ognuno ne dà una versione diversa, ognuno si rivelerà altro da ciò che appare. Grazie alla sapiente regia le loro quattro contrastanti personalità emergono, ora l’una ora l’altra, in momenti differenti del film, come i musicisti nel corso di un’improvvisazione jazz. Ne viene fuori una lunga sequenza di interpretazioni della realtà e di bugie che impone al pubblico una riflessione (quanto mai attuale) sulla impossibilità di una informazione veritiera dei fatti bellici: “la verità è la prima vittima della guerra”. Come ha scritto Ettore Mo, nella guerra dell’ ex- Jugoslavia, una guerra di tutti contro tutti, non sempre gli inviati riuscivano ad offrire un quadro oggettivo di quanto stava avvenendo, ed è accaduto anzi che alle volte qualcuno forzasse la mano, come fanno nel film i due giornalisti. Accanto ai protagonisti, i personaggi minori e le comparse sono uomini e donne serbi e croati, che in questa pellicola tornano a lavorare nuovamente insieme dopo essere stati divisi dall’odio etnico. La location scelta per l’ambientazione è Teslic, in Bosnia, roccaforte di Karadzic, noto criminale di guerra. Lasciati a casa dolly e carrello, Bocchi ha ripreso in spalla la telecamera, così come ha imparato nel corso della sua lunga esperienza di documentarista, realizzando una pellicola il più vicino possibile alla realtà, scarna nelle immagini, oggettiva nella riproduzione dei suoni (sono quelli registrati su veri campi di battaglia) e dei colori (la fotografia di Renato Tafuri è volutamente “sporca”), oltre che dei ritmi della guerra, fatta di lunghi, ansiosi tempi morti e di improvvise accelerazioni belliche. Per la scenografia spoglia dei cespugli e delle boscaglie, Bocchi ha voluto che lo scenografo Dragan Sovili si rifacesse all’ultima scena di Paisà di Rossellini che, avendo vissuto la guerra, la conosceva bene e bene sapeva descriverla e raccontarla.

di Patrizia Notarnicola