L’originalità del cinema di Amos Kollek è data dal fatto che a questo regista, più che l’intreccio del racconto, interessano le descrizioni di luoghi e personaggi, la minuziosità dei particolari, le ricche pennellate di colore fornite da ambienti e dialoghi. Tu mi ami è un film che delle parole, dei volti, delle abitazioni, ne fa la sua struttura cardine, il suo nucleo significativo. La cinepresa rincorre il personaggio centrale di Val, aspirante attrice di origine francese in cerca di fortuna a New York, attraverso le vie della città, all’interno degli edifici, lungo i marciapiedi e nei bar; proprio in questi luoghi avvengono una serie di incontri con un’umanità variegata e fortemente caratteristica, la stessa che popola qualsiasi metropoli del mondo, almeno di quello occidentale. Numerose sono le inquadrature che nel film mettono il personaggio a stretto contatto con l’ambiente, piani americani alternati a primi piani, quest’ultimi utilizzati soprattutto per delineare tutta la gamma dei sentimenti umani, dalla gioia al dolore, dall’ira all’amore. Un cinema fatto dunque di freschezza e malinconia quello di Kollek, uno dei pochi che ai giorni nostri guarda ancora con ottimismo alla vita e alle relazioni interpersonali, che si azzarda a inserire un lieto fine (da cui il titolo originale Happy End) per una volta non lezioso o appiccicato con la forza, ma naturale e leggero come la storia che racconta. 
Tu mi ami segna inoltre la svolta americana, dopo la parentesi british di Piccoli affari sporchi di Stephen Frears, dell’attrice francese Audrey Tautou, già magica protagonista del delizioso ritratto di Amelie regalatoci dal regista Jean-Pierre Jeunet. Con il suo volto bello ma irregolare, i suoi profondi occhi neri, il suo sbarazzino taglio di capelli e il suo corpo magro e delicato, l’attrice incarna al meglio la spensieratezza e l’allegria tipiche del cinema di Kollek, di titoli quali Sue Lost in Manhattan e Fast Food, Fast Women. È grazie a lei che il film si fa apprezzare anche dal pubblico più restio nei confronti del buonismo che pervade la pellicola; è sempre grazie a lei poi che il personaggio di Val assume una profondità e una concretezza altrimenti impensabili, grazie alla sua credibilità nel passare dalla posizione di emarginata nella società (in quanto immigrata, povera, per di più donna e aspirante attrice in una città competitiva e soffocante come New York) a quella di principessa dei sogni, stella del firmamento cinematografico, simbolo di successo, emblema di quell’american dream che ancora oggi risulta come un obiettivo largamente perseguito al di là dell’oceano.

di Simone Carletti