Tre punti di sospensione che fanno da preludio ad un discorso, ad un enfatica scorribanda di emozioni dialogiche. Non sa di preciso cosa va cercando la donna alto borghese Catherine (Fanny Ardant) quando apre quella porta verso il mondo dipinto di rosso di Marlene (Emmanuelle Béart). Sua la necessità di recuperare un matrimonio apparentemente perduto, o almeno, al pensiero di un marito che si sdoppia per dare amore ad altre donne, il tentativo di conoscere l’altro lato dell’uomo che ha sposato, quello capace anche di andare con le prostitute e di dire loro infinite volgarità. È la Béart stessa, dopo ripetuti confronti con ‘professioniste dell’intrattenimento spinto’ ad affermare che quello che più gli uomini cercano nelle loro improvvisate partner è un dialogo, il più irrequieto ed incontrollato possibile. Ed è proprio questo che Marlene, ribattezzata come Nathalie, offre alla sua nuova cliente: parole, racconti particolareggiati di ripetuti amplessi, di un rapporto che si fa sempre più insistente e vissuto. Gli uomini che vanno con le prostitute «Trovano persone – afferma la Béart – che si piegano alle loro fantasie rinunciando completamente ai propri desideri», assistono quindi ad una vera e propria rinuncia alla propria identità, ecco la necessità di Marlene di venire ribattezzata.

La regista Anne Fontaine, ripercorrendo i languori narrativi del romanzo di Philippe Blasband, si perde in un erotismo dialogico che non ha nulla da invidiare ad altri ben più fisici incontri di corpi: il gioco di parole, di sussurri e di silenzi/attese rende perfettamente l’idea, anche per merito di una Béart, artista di un erotismo delle ombre. Eppure Nathalie non può essere classificato come un film erotico/sentimentale, bensì ha i ricami narrativi di un “thriller del sentimento”, dove indizi disseminati lungo il percorso conducono ad una svolta narrativa necessaria quanto intuibile dove il cacciatore diventa preda lui stesso delle sue trame. La Béart mente affermando di scegliere i suoi ruoli con l’istinto: le sue parti sono simili, complementari, consecutive. Quel “risveglio dei sentimenti” tanto vagheggiato da Claude Sautet e sublimato da Rivette, trova una semplice e sussurrata eco, anche in Anne Fontaine, e trova in lei, Emmanuelle, l’unica ed assoluta artefice. In lei Sautet ha riscoperto l’amore per la vita, oltre che l’amore per il cinema.

di Alessio Sperati