Dal 18 maggio nei cinema italiani

Di film sui grandi crak finanziari americani se ne sono già visti tanti, ma con i mercati e le borse che continuano a ondeggiare pericolosamente, il tema è sempre d’attualità, come ci racconta Margin Call il film (quasi) verità sui misfatti di Wall Street, ispirato al fallimento della Lehman Brothers. Scritto e diretto da J.C. Chandor, un cast stellare con Kevin Spacey, Paul Bettany, Jeremy Irons, Zachary Quinto, Demi Moore, Stanley Tucci, Penn Badgley, Simon Baker, Mary McDonnell. In concorso al Festival di Berlino, film d’apertura al Courmayeur Noir in Festival, candidato all’Oscar per la sceneggiatura originale, arriva nelle sale italiane con Rai Cinema, il 18 maggio distribuito in 50 copie da 01 Distribution.

Ambientato nel mondo dell’alta finanza, è un thriller che coinvolge gli uomini chiave di una grande banca d’investimenti durante le drammatiche 24 ore che precedono la crisi finanziaria del 2008. Quando il giovane analista Peter Sullivan (Quinto) entra in possesso di informazioni che potrebbero provocare il fallimento dell’azienda, inizia una frenetica corsa contro il tempo: le decisioni finanziarie e morali in gioco sconvolgeranno la vita delle persone coinvolte spingendole sull’orlo della crisi.

Il film dell’esordiente J.C. Chandor, svela i dietro le quinte che portarono la banca a vendere in poche ore tutti i propri titoli ‘tossici’, dando il via a una spirale che ha conseguenze ancora oggi. Un film indipendente, piacevole e scorrevole, costato poco più di 3 milioni di dollari e già 13 incassati finora, anche grazie al supercast che il regista è riuscito a mettere insieme per interpretare i vertici della banca, con in testa gli strepitosi Kevin Spacey, Jeremy Irons, Stanley Tucci e una composta e matura Demi Moore, nei panni dell’arrivista e senza scrupoli ‘tagliatrice di teste’.

«Gli uomini e le donne che hanno creato l’attuale crisi finanziaria sono persone comuni che, malgrado la loro abilità, intelligenza e spesso compensi sorprendenti, sono state vittime della loro stessa negligenza, della loro miopia e dell’ordine sbagliato delle priorità – cerca di difenderli Chandor -. Wall Street può essere senza anima, ma non le persone che lavorano nelle alte sfere. Margin Call è la storia di queste anime e della loro notte più lunga, più cupa, quando sono costrette a fissare l’abisso di cui sono responsabili».

Il regista, che non ha mai lavorato nell’ambiente, lo conosce però alla perfezione. «Mio padre ha lavorato quasi 40 anni per Merrill Lynch – spiega – e quindi conosco bene la gente che popola questo ambiente. Io ho cercato di avere uno sguardo imparziale e attento. Non sono un banchiere che sta difendendo altri banchieri, ma conoscendo molte di queste persone ci si rende conto che non sono neppure il male assoluto». A parte, forse, personaggi come il mega-boss interpretato da Jeremy Irons, che non si fa scrupolo a dichiarare che di finanza capisce poco o nulla.

Il film ha convinto, ma non fino in fondo, alcuni esperti di economia presenti all’anteprima romana. Per Pietro Reichlin, professore di economia e prorettore alla ricerca dell’ università Luiss Guido Carli di Roma «Il film racconta l’antefatto della crisi. Mostra certi ‘apprendisti stregoni’ che, dopo aver realizzato per anni innovazioni finanziarie rischiose, non sono stati in grado di gestire le conseguenze di ciò che stavano per fare». «Il film mostra bene l’incompetenza di quegli amministratori, la spregiudicatezza e il cinismo che hanno guidato le loro azioni, ma non mostra l’altra componente dell’inizio della crisi finanziaria, caratterizzata dal panico, dal contagio, che ha poi coinvolto tutti, anche le banche sane».

Raffaele Oriani, docente di Finanza Associata della Luiss, sottolinea che il film «Mette in luce il completo scollamento tra economia reale e mercati finanziari tra cui il legame si spezza. A cinque anni da quelle ore drammatiche sono le imprese a pagare le conseguenze: le banche non le supportano anche se il loro business va bene». «La finanza è fuori dal concetto di moralità, vale tutto, l’unica cosa che viene reputata è esagerare – commenta Maury Longo, giornalista economico del Sole 24 ore -. Di storie così ne ho sentite tante: le banche moltiplicano i soldi creando ciò che non esiste, strutturando prodotti obsoleti. I segnali d’allarme c’erano. Tra il 2000 e il 2011 i debiti pubblici degli stati sono raddoppiati, sono aumentati del 50% dal 2007 al 2011 per 54 mila miliardi di dollari, in gran parte (84%) nei paesi industrializzati. Ora i nodi sono venuti al pettine, c’è uno scollamento assoluto tra finanza e economia reale».

Uscire dalla paralisi è difficile perché, spiega Emilio Barone, docente di Economia del mercato mobiliare «C’è una crisi di fiducia, non si crede che le promesse verranno mantenute. La crisi è stata creata nel 2008 da persone a capo della finanza mondiale che non hanno saputo prendere le decisioni giuste».