Tratto liberamente dal racconto I labirinti della memoria di Philip K. Dick, Paycheck giunge a risollevare la carriera americana di John Woo dopo il rovinoso scivolone causatogli dal brutto Windtalkers (2000), pur restando ben al di sotto della media di altre più fortunate trasposizioni cinematografiche di opere del maestro della fantascienza, prime fra tutte Blade Runner (1982) di Ridley Scott e Minority Report (2002) di Steven Spielberg. Nel film vengono introdotti molti elementi assenti nel breve racconto di Dick: cambiano gli oggetti posseduti dal protagonista che sono al centro dell’azione, così come cambiano molti dei personaggi, alcuni totalmente inventati come quello interpretato da Uma Thurman; lo stesso finale, che nel libro appare più cupo e pessimista, si trasforma nell’immancabile happy end hollywoodiano, oramai vero e proprio elemento costitutivo del cinema americano contemporaneo. Il regista John Woo, inoltre, si diverte a inserire alcuni chiari riferimenti alla situazione politica attuale degli Stati Uniti, come la scelta del governo di combattere alcune guerre preventive (vedasi l’Iraq) attraverso una manipolazione del futuro.
Preso separatamente dal racconto che lo ha ispirato, il film si presenta come un’onesta storia di avvenimenti futuristici, tutta giocata intorno alla modificazione dei ricordi e della memoria e alle distorsioni che su di essa compiono uomini malintenzionati e spietati. Il regista, come suo solito, si trova più a suo agio nella costruzione di sequenze mozzafiato e adrenaliniche che nel goffo tentativo di dare profondità psicologica ai vari personaggi, anche se spesso fa capolino una certa ostentata autocelebrazione fine a se stessa (voli di colombe, ralenti e quant’altro). Tra le scene di grande impatto audio-visivo da ricordare per il suo alto coinvolgimento e per l’abilità con cui è stata girata quella dell’inseguimento in moto attraverso le enormi tubature di un cantiere abbandonato. Per il resto il film snocciola l’abituale repertorio di sparatorie e duelli appartenente ad ogni film d’azione diretto da orientali che si rispetti. Seppure la bellissima Uma Thurman appaia sprecata nel ruolo di Rachel, specie dopo i fasti di Kill Bill – Vol. 1, l’attrice forma un’affiatato binomio assieme al nuovo idolo del cinema d’avventura, Ben Affleck, anch’egli risollevatosi dopo i notevoli flop di Daredevile, soprattutto, di Amore estremo – Tough Love, in cui recita con l’ex Jennifer Lopez. Al loro fianco si distinguono i nomi ancora poco noti in Italia di Aaron Eckhart e Paul Giamatti: il primo, che arriva dal cinema intimista e psicologico di Neil LaBute, di cui è attore-feticcio, dipinge il ritratto di un affascinante malvagio non sempre spinto da cattive intenzioni; il secondo è il volto emergente del cinema indipendente americano, grazie al successo ottenuto in patria dal film American Splendor, in cui egli interpreta il ruolo del fumettista Harvey Pekar.

di Simone Carletti