Come ne Il Paziente Inglese (1996, nove Oscar), in Ritorno Cold Mountain Anthony Minghella racconta due storie. Quella di Inman (Jude Law, bello e bravo), soldato sudista confederato che, stanco e ferito durante la Guerra civile, diserta e si mette in pellegrinaggio verso casa, Cold Mountain, nel North Carolina. Motivo in più per tornare, il ricordo di un bacio appassionato dato ad Ada (Nicole Kidman, la seconda storia), ragazza pulita educata e francese e latino nonché figlia del Pastore del luogo. La giovane attende con ansia il ritorno di Inman scrivendogli decine di lettere, e nel frattempo trascorre la sua vita tra le rovine, fa amicizia con la selvaggia vagabonda Ruby (Renèe Zellweger, che gigioneggia come non mai) e impara a fare la contadina. Prima del lieto fine con annessa appendice tragica, lui incontrerà vari personaggi affrontando parecchie vicissitudini, Ada dovrà invece vedersela con un arrogante vessatore mandando avanti con coraggio la fattoria dopo l’improvvisa morte del padre.
Dal best-seller ispiratore di Charles Frazier a Omero, da Il Dottor Zivago a Via col vento, Minghella rispetta e contamina: tutto per costruire un “viaggio metafisico” attraverso lontananza e morte, battaglie sanguinose e viaggi spirituali, natura incontaminata (in Romania) e orrori umani. Uno spettacolo ad alto budget (83,460 milioni di dollari e oltre 30 per il lancio) per il puro piacere del racconto, dove il cast stellare (ci sono anche Donald Sutherland, Natalie Portman, Giovanni Ribisi e Philiph Seymour Hoffman) e i tanti personaggi tentano di rendere universale e contemporaneo il passato. Minghella non fa brutti film, e di classe ne ha da vendere. Ma le sue pellicole si ispirano ad un genere – quello bellico-romantico vestito da kolossal – che ha forse da tempo esaurito il suo pubblico. Il melodramma elegante di cui il regista s’ammanta scivola via con una tale sontuosità che, in definitiva, non ci importa molto di quel che si racconta, perché tutto ci sembra irrealistico. Anzi non faremmo difficoltà a prenderlo un po’ in giro: cosa grave, perché fa cadere tutti i presupposti di serietà E confezionato ogni dettaglio (straordinarie le scenografie di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo e i costumi di Ann Roth), si perde un po’ di vista l’insieme e il contenuto. Eppure qualche cuore non mancherà di palpitare (Vento di passioni vi dice qualcosa?). Sette nomination agli Oscar, forse solo la Zellweger (già col Golden Globe in mano) e Jude Law ne vinceranno uno. Il polpettone è servito su un piatto d’oro. Ma la Kidman comincia a starci antipatica.

di Francesco De Belvis