Riappropriamoci della parola “cittadino”, ridiamogli il giusto valore. E’ l’invito di Ken Loach nei confronti di un termine che i politici hanno screditato, togliendogli il rispetto. L’ottantenne regista britannico lo fa come sempre con un bellissimo film di denuncia, duro,  poetico, toccante: Io Daniel Blake, sceneggiato da Paul Laverty, con Dave Johns e Hayley Squires, vincitore della Palma D’Oro a Cannes e dal 21 ottobre nei nostri cinema.

Una commovente storia di sofferenza, di lotta per veder rispettati i propri diritti, portata faticosamente ma caparbiamente avanti da un falegname sessantenne di Newcastle vedovo che, impossibilitato a tornare a lavorare dopo un brutto infarto, si scontrerà contro un sistema statale sempre più burocratizzato, privo di comprensione e umana solidarietà, che gli nega l’invalidità e un sussidio di disoccupazione necessario perché possa continuare a vivere.

Un’estenuante battaglia contro i mulini a vento di un uomo che non sa usare i computer, che scrive ancora i curriculum a matita e dunque dovrà fare i conti anche con l’obbligo di usare le nuove tecnologie online delle quali è digiuno. Un ennesimo intralcio, che però non gli impedirà di tendere un’amorevole e disinteressata mano a una giovane madre sola con due figli piccoli cui gli ottusi burocrati negano il necessario e dovuto aiuto economico.  Due persone dignitose, che chiedono solo ciò che loro spetta, che casualmente si incontrano, si uniscono per lottare contro la fame e le ingiustizie sociali che scatenano nello spettatore rabbia e profonda indignazione.

Un problema che, come ben sappiamo, non riguarda solo la sua Inghilterra. “Gli Stati europei cercano di non schierarsi con le persone ma negli interessi del Capitale – conferma Loach -, e questo rende i lavoratori vulnerabili”. La realtà, spiega il regista, è che i pochi posti di lavoro sono talmente precari da non consentire una vita dignitosa. “Il precariato ha un valore inestimabile per le grandi aziende, che lo usano come un rubinetto da aprire e chiudere a loro piacimento, un vero disastro per i lavoratori – accusa Loach -. Il Governo sa bene quello che fa, è tutto architettato per intrappolarci”.

Insomma, tutto il mondo è paese. Ma Loach invita a non gettare la spugna: “Riportiamo la dignità e i diritti dell’uomo in primo piano – insiste -. Tanti giovani cineasti condividono queste idee anche se oggi la classe dirigente si sente insicura e ha ristretto i margini di libertà di espressione. Ma un certo tipo di cinema è indispensabile”. Come il suo film, assolutamente da non perdere, che anche stavolta, malgrado il tema ostico, ti pervade di poesia, lasciando una porta aperta alla speranza.