Quanti conoscono Edward Snowden e ricordano ciò che ha rivelato? Se lo è chiesto il regista tre volte premio Oscar Oliver Stone decidendo di raccontare nel suo ventiduesimo film, Snowden, interpretato da Joseph Gordon-Levitt,  la storia del trentenne tecnico informatico ex dipendente della Cia e dell’NSA che ha svelato al mondo che siamo tutti sotto sorveglianza, 24 ore su 24. Come? Con il controllo delle mail, delle conversazioni in chat, dei post sui social network, di chiunque e ovunque.

Una cyberguerra per sorvegliare le masse, ufficialmente per combattere il terrorismo, in realtà per osservare tutto e tutti e poter poi promuovere la propria causa, cambiare regimi, come in Libia, in Brasile. Lo sostiene convinto il neosettantenne regista statunitense presentando alla Festa del Cinema di Roma il film che sarà nelle sale dal 1 dicembre con BIM. Conquistato dalla storia, ha incontrato parecchie volte l’hacker, che ora vive esiliato a Mosca, impiegando un paio d’anni per tradurre la vicenda in un film appetibile al grande pubblico, tra mille difficoltà, soprattutto a reperire i fondi, negati dai suoi connazionali e trovati in Francia e Germania, dove ha girato per non avere problemi, spostandosi poi a Hong Kong e in Russia.

Stone mette a nudo il percorso di quel fragile ragazzo epilettico dalla mente portentosa. Un giovanissimo genio informatico che lavora per la CIA e per la National Security Agency statunitense occupandosi di spionaggio online . Il film parte dalle ore decisive a Hong Kong, alla stanza d’albergo in cui la sua confessione è registrata e poi divulgata al mondo da Citizenfour,  il documentario premio Oscar di Laura Poitras. Retrocede poi alla sua formazione militare, al suo congedo per motivi di salute dai Corpi Speciali dei Marines, per arrivare al presente, in cui Edward dopo l’11 settembre si arruola nella CIA per servire l’America. Ma quando scopre che l’agenzia di fatto spia anche i cittadini americani ledendo il loro diritto alla privacy, convoca i giornalisti del Guardian. Ne nasce uno scandalo di dimensioni globali, che costringe Snowden a scappare, e restare tul ttora rifugiato politico in Russia.

“E’ un film kafkiano – spiega Stone -, non una spy story con sparatorie e inseguimenti ma molto realistico, malgrado sintetizzi in due ore il suo lavoro durato nove anni. Snowden mi ha dato consigli preziosi, temevo che gli haker danneggiassero il film. Negli Usa è stato accolto da alcuni bene da altri malissimo”. Non crede che gli americani abbiamo capito di cosa si tratti: “E’ una storia molto complicata che riguarda tutto il mondo, il film cerca di rendere più comprensibile questo messaggio. Da noi chi rivela segreti del governo è considerato dalla gente un cattivo, sono ancora pochi a sapere chi è Snowden”.  Sull’uso indiscriminato dei cellulari dice: “Consiglio sempre di fare attenzione, siamo tutti potenzialmente schedati, usiamo dati crittografati”.

Su Obama va giù pesante: “Invece di portare avanti una riforma sulla protezione dei dati personali ha reso più difficile per tutti dire la verità”. Di Tramp dice: “Non penso possa farcela, la Clinton però rappresenta il sistema, chissà se sarà più dura e militarista del suo predecessore”.
Considera buono il bilancio dei suoi 70 anni: “Non vivrò moltissimo dopo questa tappa, era bene dire ciò che dovevo dire”.