«Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo. Il lavoro ti fa male. E ti manda all’ospedale» cantava negli anni ’70 Enzo del Re, cantautore militante che per compenso chiedeva solo il minimo sindacale. Quella canzone era diventata la sigla di Radio Alice, emittente “anarchico-surreale” indipendente che nella Bologna degli anni 1976/77 era diventata un centro di autonomia creativa, uno strumento che tutti potevano usare per esprimersi a proprio modo. Un’esperienza comunicativa da cui in un’altra città, Torino, l’allora diciannovenne Guido Chiesa, futuro regista di Non mi basta mai e Il Partigiano Johnny, rimaneva molto colpito, tanto da dedicarvi, a distanza di quasi trent’anni, prima un documentario (Alice in Paradiso), poi un lungometraggio, Lavorare con lentezza, appunto. Sarebbe stato meglio però che al documentario Chiesa si fosse fermato. Il film, in concorso alla 61ª Mostra del Cinema di Venezia è piatto, banale, freddo. In altri termini, senz’anima. Che ne è del “flusso continuo di comunicazione” che era al centro del messaggio di Radio Alice?

Il fatto che la sceneggiatura sia stata firmata dal regista insieme ai cinque scrittori del collettivo letterario Wu Ming (già autori del romanzo Q) non riesce a dare un’immagine diversa dei ragazzi di sinistra lontana dal ritratto di esseri sempre allucinati per troppa marijuana e troppo sesso libero. La storia parte da una situazione da ‘soliti ignoti’ che poi prende una svolta diversa. Squalo (Tommaso Ramenghi) e Pelo (Marco Luisi), due giovani proletari residenti in un quartiere immaginario di Bologna, vengono assoldati per organizzare una rapina in una banca e passano notti intere scavando un tunnel da usare come passaggio. Non c’è niente di meglio che un po’ di musica per alleviare la fatica. L’unica emittente radiofonica raggiungibile sottoterra è proprio Radio Alice che, captata per caso, cambierà il loro modo di pensare e la loro vita. La loro storia si incrocia con le rivendicazioni del movimento studentesco, con gli scontri nati nel marzo del ’77 dopo l’uccisione di Francesco Lo Russo, militante di ‘Lotta Continua’ e con la chiusura della radio. Nei panni del tenente dei Carabinieri che sparò a Lo Russo un improbabile Valerio Mastrandrea, che interpreta un personaggio per niente nelle sue corde. Lascia indifferenti anche Claudia Pandolfi.

di Patrizia Notarnicola