Un compito dallo stile pulito e senza sbavature, questo è L’amore ritrovato di Carlo Mazzacurati. Un prodotto realizzato attraverso una classica tecnica di ripresa, con una buona fotografia ed una precisa ricostruzione temporale che caratterizzano un film dallo stile televisivo all’interno del quale, ancora una volta, le emozioni debbono essere rintracciate senza alcuna speranza di successo. Un risultato inaspettato e deludente soprattutto se si riflette sui precedenti da sceneggiatore di Mazzacurati. Una attività che, ad esempio, gli valse uno dei più intensi e rappresentativi film di Salvatores, Marrakech Expressall’interno del quale seppe ricreare e rivivere la giocosità dell’ultima generazione «con i ricordi di una televisione in bianco e nero». Ma osservando le immagini di questo film, presentato fuori concorso alla mostra di Venezia, viene spontano chiedersi dover il regista abbia nascosto tutto l’impatto narrativo e lo scandagliamento dei personaggi all’interno delle loro piccole meschinità tipico dei romanzi di Cassola (La ragazza di Bube), autore a cui si è ispirato per questo suo ultimo lavoro. Il problema potrebbe essere rintracciato nella recitazione o, per meglio, dire nel tentativo non completamente riuscito di vestire panni non propri creando l’illusione di una credibilità. Una superficialitá, un tocco non profondo e dissonante che si avverte soprattutto nella performance artistica di Stefano Accorsi. Perché se Maya Sansa riesce sempre e comunque nell’incredibile risultato di salvare la propria interpretazione e di uscirne, comunque, come una delle attrici piu promettenti del panorama italiano, altrettanto non si può proprio affermare per l’attore bolognese. I panni di Giovanni, intraprendente don giovanni che si trova coinvolto in una grande passione extraconiugale, proprio non gli calzano bene. Piu che un uomo consumato dalla ricerca di un amore impossibile da vivere pienamente, appare piú che mai in questa particolare occasione, come il Carlo immaturo ed incompiuto dell’Ultimo Bacio. Una sovrapposizione di ruoli ed immagini che appare quanto mai inbarazzante e che dovrebbe suggerire all’attore, che per altro ha gia vinto una Coppa Volpi per l’apprezzabile interpretazione di Dino Campana in Un viaggio chiamato amore, di soffermarsi con maggiore attenzione sulle sue scelte professionali, tornando a dare maggior respiro ai suoi personaggi. Ora come ora, l’intensità interpretativa de Le fate ignoranti é un ricordo lontano.

di Tiziana Morganti