Diverte e commuove la commedia di Paolo Virzì La Pazza gioia. Ha conquistato il pubblico della Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes e la stampa romana che ha già apprezzato la pellicola in uscita nelle sale il 17 maggio. Perfette le protagoniste, Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, nei panni di due donne toccate negli affetti e deragliate dai binari della salute mentale, costrette al ricovero coatto in una casa di recupero, dalla quale fuggiranno, avventurandosi nel non meno frustrante mondo dei “normali”.
Un ottimo film, realistico, con momenti di commedia avventurosa, trip psichedelici e un tocco di fiaba, che racconta il nascere e l’evolversi di un’amicizi tra un’ istrionica sedicente nobildonna condannata per frode e rinchiusa nella comunità di recupero toscana e una giovane proletaria depressa, anoressica, supertatuata, con un tragico segreto che la tormenta.

Il regista toscano, da sempre attratto dalle storie al femminile, soprattutto se con protagoniste donne ‘sbagliate’, ha scritto una sceneggiatura  toccante e molto divertente con la complicità di Francesca Archibugi, con la quale condivide la passione per i ‘matti’ e in questo film ne sottolinea l’infelicità, l’angoscia, la tristezza, riservando piccoli ruoli anche alle vere pazienti del centro di salute mentale di Pistoia e Montecatini.
Non sfugge il fitto intreccio di citazioni e omaggi a suoi film precedenti, in cui tutti i casi umani sono un po’ folli e riferimenti ad altri capolavori come Qualcuno volò sul nido del cuculo con Nicholson, Un tram che si chiama desiderio di Tennesee Williams, Thelma & Louise di Ridley Scott con Geena Davis e Susan Sarandon, alle quali nulla ha da invidiare questa straordinaria coppia di talenti nostrana.

La Bruni Tedeschi sostiene che sia raro trovare una sceneggiatura che dia una sensazione di chiarezza e al contempo complessità. Il suo lavoro principale, racconta, è stato decostruire, mandare in vacanza il suo super-io che le sta sempre accanto. Un’esperienza che definisce liberatoria per una come lei che dice di sentirsi “non pazza” ma di avere molta familiarità con chi lo è, di funzionare un po’ meglio perché l’ipocrisia le permette di vivere in questa società, ma sentendosi dentro ugualmente disperata.
Lei e Micaela sono partite da un disegno che aveva tracciato Paolo e poi come i personaggi di Beatrice e Donatella si sono bisticciate, si sono amate. Due donne umane e, si sa, l’umanità è complicata. Virzì di certo non ha paura dei matti ma di chi ha paura della pazzia. La sua cura? La relazione affettiva, anche se tumultuosa, sentirsi importanti agli occhi di qualcuno.