Nanni Moretti rompe i soliti schemi e si converte alla semplicità. La considera un traguardo, un punto di arrivo nella sua prolifica e fortunata carriera che si arricchisce ora dell’ intenso, commovente film Mia Madre, dal 16 aprile in oltre 400 sale con Margherita Buy, Giulia Lazzarini, John Turturro .

L’attore e regista romano (che oltre ad aver scelto attori eccezionali per interpretarla, ha anche scritto il soggetto e la sceneggiatura della pellicola con Valia Santella, Francesco Piccolo, Gaia Manzini e Chiara Valerio) ha proiettato su Margherita Buy la sua inadeguatezza nell’affrontare le persone e le cose della vita, affidando a lei il ruolo di regista di un film sulle lotte sindacali con pesanti problemi relazionali e riservandosi la parte più sfumata del fratello pacato e premuroso al capezzale della madre moribonda.

Moretti confessa di aver caricato sulle spalle della Buy tutto il peso del film, che lei ha retto benissimo per tutti i 70 giorni di riprese, dando una delle sue migliori prove d’attrice. Inutile spendere parole lodevoli sulla grande Lazzarini, che il teatro ha rubato al cinema per troppi anni, fortunatamente ora restituendogliela. Fantastico anche Turturro, che sottolinea con ironia e comicità le nevrosi comuni a tante star hollywoodiane, e non solo.

Le nevrosi maggiori sono però di Margherita (stesso nome anche nel film), che non accetta di dover perdere la genitrice con la quale, come la maggior parte delle donne, ha sempre avuto un rapporto conflittuale. Ha problemi a relazionarsi anche con la figlia adolescente, con l’amore, sul lavoro, soprattutto nel dirigere un irrefrenabile Turturro che interpreta un attore di grido megalomane che sul set va a briglia sciolta facendole perdere violentemente le staffe.

Nanni fuga ogni dubbio che si tratti di un film molto autobiografico, nato poco dopo la scomparsa della mamma, un passaggio importante nella vita di tutti, che voleva semplicemente raccontare, senza alcun “sadismo” verso lo spettatore, che fa commuovere, riflettere, ma anche ridere.
Quel lutto però è stato un pretesto per mettere a fuoco il disagio di tutti, non solo di fronte alla morte di una persona cara, ma anche nelle relazioni umane di ogni livello e grado, che qualcuno magari non riconosce come proprio.

Questo, spiega Moretti, per ora è il suo modo di raccontare, non una cura contro il mal di vivere. Anche se ammette di conoscere bene il disagio, che col passare del tempo non accenna a sparire ed è tutt’altro che riposante, perché dubbi, incertezze, angosce lo portano a fare sempre gli stessi sogni agitati a ogni inizio di riprese di un nuovo lavoro.
“E’ un film e basta – taglia corto lui- anche se il tema è molto forte. Non ti deve investire con la sua forza. Ma poi non so se sono d’accordo con me stesso”.