Ora in sala il film Leone d’Oro a Venezia

Il Leone d’Oro del Festival di Venezia troneggia sui pannelli del Grande Raccordo Anulare di Roma. È il regalo che l’Anas, che gestisce l’anello di asfalto che abbraccia la capitale, ha fatto al regista Gianfranco Rosi. È una sorta di invito ai milioni di automobilisti che ne percorrono quotidianamente le carreggiate ad andare a vedere il suo bel docufilm Sacro Gra, vincitore dell’ambita statuetta al recente festival sulla laguna, che Officine Ubu ha ora portato in una cinquantina di sale.

La vera statuetta passava di mano in mano ai protagonisti “veraci” del film, superpaparazzati, seduti ai tavoli del rustico ristorante Anaconda creato dall’anguillaro Cesare, che ha ospitato la presentazione alla stampa romana sul suo barcone attraccato proprio sotto il raccordo, sulla riva fangosa del Tevere a una manciata di chilometri dal mare.

Al centro, un emozionato Rosi, circondato dalle sue “creature”: Francesco il geniale palmologo, il nobile e colto piemontese Paolo e sua figlia Amelia, il barelliere Roberto, il principe Filippo con la consorte Xsenia e l’agghindata figlioletta, il disincantato attore di fotoromanzi Gaetano. Intorno a lui  anche i soddisfatti Paolo Del Brocco di Rai Cinema e Marco Visalberghi di Doclab (che hanno coprodotto il progetto costato 600mila euro coi francesi, che dovevano coprirne il 50% poi da loro ridotto al 10%), al produttore creativo Dario Zonta, dall’ideatore del progetto Nicolò Bassetti, al preziosissimo aiuto regista Roberto Rinalduzzi.

Un dolente, patetico e assai poetico viaggio on the road, che ti scorrazza per un’ora e mezza tra scorci di umanità inedita, dove il GRA fa da collettore a storie di persone altrimenti invisibili, come il botanico armato di sofisticate sonde sonore per stanare il punteruolo rosso, micidiale devastatore delle amate palme della sua oasi; le due anziane prostitute che a bordo di un camper fatiscente attendono improbabili clienti sgranocchiando panini e aggiustandosi lo sbavato trucco. E ancora, il sedicente principe che cerca di utilizzare la sua pacchiana villa-castello in un bed and breakfast; gli addetti all’impietoso rito della traslazione di antiche salme e la deposizione dei poveri resti in un ossario comune.

Rosi piazza impietosamente la cinepresa sulla facciata di un moderno condominio periferico della capitale per carpire attimi della sgangherata vita degli assegnatari di quei monolocali, sovrastati dal volo basso e rumoroso degli aerei del vicino aeroporto di Fiumicino, ma che comunque garantiscono loro un tetto sulla testa, anche se a malapena decoroso e per di più temporaneo.

«Ho impiegato tre anni per cercare una strada possibile a questo film – spiega il regista -, il percorso è stato lungo, ai margini di queste strisce d’asfalto c’erano tante storie da raccontare. Essendo prive di trama era difficilissimo far emergere l’essenza poetica dei personaggi, la loro forza. La sfida era chiudere la porta sulla realtà». E lui c’è riuscito proprio bene.

Cosa si aspettano ora i protagonisti dopo questo bagno inaspettato di popolarità? Se Roberto e i principi per ora si godono il momento, c’è chi spera che serva a portare alla luce ed a aiutare a risolvere una grave e vergognosa emergenza esistenziale. «Dovremmo essere sfrattati a settembre – annuncia Paolo -, dovremo lottare uniti per impedirlo». «Ho in ballo due provini con due registi importanti» esulta invece l’attore Gaetano. «Io amo il Tevere e ci resterò sempre dentro – assicura l’anguillaro -, niente e nessuno può cambiare la mia vita».