Esce “Rush” dal 19 settembre nelle sale italiane

Il mondo spietato e leggendario della Formula 1 degli anni ’70 con al centro la rivalità tra lo sregolato playboy inglese James Hunt e l’intransigente, metodico pilota austriaco della Ferrari Niki Lauda è al centro di Rush,  il film diretto da Ron Howard e sceneggiato da Peter Morgan, che il 19 settembre 01 porterà in più di 400 sale.

Un film di intrattenimento che riflette la realtà, straordinario nella ricostruzione della stagione d’oro delle corse di F1. In particolare del 1976 quando, sulla pista del circuito tedesco di Nurburgring, resa ancor più pericolosa dalle forti piogge, il bolide rosso di Lauda si schianta contro il bordo pista e il pilota, a un passo dalla morte, sopravvive alle terribili ustioni e tornerà a correre solo sei settimane dopo, a Monza, superando in classifica l’eterno rivale.

Avvincente nel racconto, il film mantiene comunque lo sport in secondo piano, con un ottimo mix tra gare, vita privata e dialoghi. Perfetta la musica del premio Oscar Hans Zimmer. Piacerà anche a chi non è amante della corse perché in primo piano c’è la rivalità tra i due supercampioni dell’epoca, la sfida feroce e assoluta tra i due in pista, a colpi di velocità e prove di coraggio. Ottima l’interpretazione di Chris Hemsworth, nei panni del pilota della McLaren Hunt (scomparso per infarto a 45 anni nel 1993), di Daniel Bruhl in quelli di Lauda, di Pierfrancesco Favino, il ferrarista Regazzoni suo compagno di squadra e le loro mogli Olivia Wilde (Suzy Hunt) e Alexandra Maria Lara (Marlene Lauda).

Il regista pluripremio Oscar, a Roma per presentare il film con i protagonisti (e col suo immancabile cappellino), spiega di aver usato le nuove tecnologie per rendere le immagini girate da lui indistinguibili da quelle vere. «La computer grafica ha dato la giusta dimensione tra certe scene riprese oggi e quelle prese dal materiale di repertorio – ammette. Racconto la storia vera facendola passare per il mio filtro, per farla arrivare al pubblico in una certa maniera – aggiunge Howard -. Non puoi tradire i fatti più importanti, la gente è attratta dalle storie vere. Chris e Daniel hanno dato vita ai loro personaggi documentandosi a fondo». Dice che Lauda non ha interferito con il progetto ma si è messo a totale disposizione del film e si è fidato. «Ho ascoltato una trentina di persone che conoscevano Hunt, mi hanno aiutato a capire molto di lui» continua il regista, spiegando che non voleva fare un film sullo sport ma sulla vitalità dei due corridori, sottolineandone l’individualità. «Non c’è un buono e un cattivo – dice – ma due rivali che si trovano in una stagione di travaglio, sia dentro che fuori il terreno di gara». Ha dunque pigiato l’acceleratore sull’eccitazione, la tensione, l’entusiasmo dei due, rappresentando l’aspetto glamour della vicenda. Sostiene infatti che Hunt era «Una rock star su ruote, un simbolo dello spirito degli anni ’70 con il suo stile di vita molto libertino. Ma era incredibilmente competitivo, rappresentava l’idea che si può essere grandi senza farne una questione di business». Anche se la F1 era gestita in stile dittatoriale dall’imprenditore britannico Bernie Ecclestone, che la trasformò in un’entità commerciale altamente redditizia. Grazie al film ha visitato lo stabilimento Ferrari di Maranello e Lauda l’ha fatto sfrecciare in pista su una Ferrari fiammante: «Dei giri velocissimi – ricorda Howard – ho ancora lo stomaco sottosopra».

«Per noi era importante essere onesti e fedeli ai veri protagonisti – spiega Hemsworth -, volevo rendere giustizia al vero Hunt ma poi l’ho rappresentato come sentivo io». «Lauda è una leggenda – gli fa eco Bruhl – all’inizio mi spaventava interpretarlo, sapevo chi era fin da quando ero bambino ma lui mi ha fornito preziose informazioni. Ho passato un mese a Vienna per imparare il suo arrogante accento austriaco, quando sul set avevamo un problema lo chiamavamo e lui era sempre a disposizione». «Una buona sceneggiatura fa vivere anche personaggi di contorno come il mio Regazzoni – aggiunge Favino -. È una di quelle facce che fa un’epoca, ha un sapore anni ’70, ma non ho usato il suo marcato accento ticinese».