Guillermo del Toro lo ha definito, a suo parere, come il miglior lavoro realizzato fino ad ora. Ed effettivamente, osservando e meditando sulla forma immaginifica e storica de Il Labirinto del fauno si può comprendere la motivazione di tanta affezione da parte del regista nei confronti della sua opera. Dividendo la vicenda tra fantasy e realtà attraverso un’invisibile linea che diviene porta di passaggio tra due universi paralleli e sconosciuti, Del Toro da sfogo alle sue più grandi passioni, mettendo ancora una volta in scena gli orrori della guerra civile spagnola durante i primi anni del franchismo, sovrapposta a delle immagini tratte da favolistiche visioni infantili. Ma se da una parte Il labirinto del fauno ( presentato a Cannes in concorso nella giornata di chiusura) viaggia attraverso questi due piani paralleli alternando un gotico/horror alle brutalità di una realtà storica sulle quali, obiettivamente, Del Torosembra indugiare con una certa autocompiacenza, è pur vero che questo binomio sembra non funzionare nel ritmo e nella realizzazione artistica.

Visionario e particolarmente ispirato nel dar vita al mondo immaginario in cui la piccola Ofelia si rinchiude per sfuggire alla brutalità di un mondo che non comprende ed al matrimonio della madre con un arido e freddo capitano franchista, non riesce a raggiungere lo stesso grado qualitativo nella ricostruzione storica, dove si lascia andare ad un certo qualunquismo narrativo, producendo figure retoriche e scontate. Nonostante il vero mostro di questa favola per adulti, come l’hà definita Del Toro, sia proprio il capitano Vidal (forse troppo enfatizzato ed eccessivo nella sua impersonificazione del male), la vera rivelazione è la piccola Ivana Baquero che, con una leggerezza quasi irreale si aggira tra i meandri di un mondo senza anima in attesa che si aprano i varchi di questo rifugio fantastico, nato e creato attraverso la trasposizione cinematografica dei disegni di Arthur Rackman. Un elemento puramente artistico che, nonostante la volontà del regista di non voler realizzare un film esclusivamente fantasy, è ciò che colpisce e rimane negli occhi e nell’animo dello spettatore, troppo a lungo disturbato ed infastidito da una realtà che tende ad un’esibizione eccessiva di sangue e tortura.

di Tiziana Morganti