Documentario piccolo, girato con pochi mezzi, due scamiciate troupe o poco più e la passione di un coraggioso produttore di nome Gianluca Arcopinto, che in questo progetto riversa tre passioni dichiarate: il calcio, il cinema e la letteratura. In un momento in cui il calcio è messo a dura prova da sconfitte europee clamorose, calciatori strapagati e viziati da un ambiente finto e godereccio, attraversato da belle statuine e cafonissimi figuri, dove alcune società rischiano continuamente la bancarotta, ecco la storia di un gruppo di argentini e di uruguayani dimessi, volenterosi, che hanno un’unica meta: diventare famosi come “El Chino” Recoba. Immagini di repertorio ricordano le gesta insuperabili di Mario Kempes, nel 1978, che con due goal contro l’Olanda mise il suo paese nell’albo d’oro dei Campioni del Mondiale, in un’Argentina che sognava la gloria mentre faceva i conti con una feroce dittatura militare. Ma ai due firmatari del progetto, César Meneghetti e Elisabetta Pandimiglio, più del calcio, interessa le storie di migrazioni di ritorno che ci sono dietro, ragazzi che lasciano famiglie, affetti, fidanzate, per coltivare un “Sogno Italiano” che non esisteva nella Fiorenzuola della C2 del 2001, figurarsi adesso. Documentario politico, esistenziale, su un paese che non ci piace, che non paga il giusto tributo agli onesti, ma senza proclami e senza issare bandiere. Solo dietro l’occhio incupito dalla “saudade” di ragazzi semplici, un po’ sprovveduti, mentre bevono il mate, si intravede che il futuro è post-datato e senza speranza, che i soldi non avuti e le promesse rinviate hanno qualcosa di tragico e di umoristico, nel senso strettamente pirandelliano. Si ride molto, durante questi settanta minuti, ma si rimane con un retrogusto amaro, come di qualcosa, la buona fortuna, che se c’è, appartiene sempre agli altri. Giacché, qualcuno ne parla anche durante il film, giova ricordare il più bel romanzo dell’argentino Osvaldo Soriano: Triste solitario y final, datato 1973. Già il titolo…

di Vincenzo Mazzaccaro