Dimentichiamo le “caramellose” atmosfere e il sentimentalismo politicamente corretto della tradizione Disney. Terkel in trouble, primo film danese in animazione digitale, ci proietta verso un emisfero totalmente inaspettato e mai sondato fino ad ora. Per la prima volta un prodotto destinato ai ragazzi sconvolge e accende critiche a causa di un linguaggio troppo esplicito e di messaggi assolutamente diretti. Eppure, nonostante il timore di alcuni produttori che non hanno trovato il coraggio di comprendere e sostenere un’ avventura insolita quanto necessaria, Terkel offre uno spiraglio illuminante sulla quotidianità vissuta da qualsiasi adolescente dagli undici anni in su. Pur rifacendosi ad un modello sociale e familiare fortemente nordico e, in un certo senso distante dal nostro, questo cartone animato realizzato da Stefan Fjeldmark, Kresten Vestbjerg Andersen e Thornjorn Christoffersen, che probabilmente sarà vietato ai minori di quattordici anni, potrebbe e dovrebbe essere utile alle nostre famiglie più di qualsiasi altra edulcorata favola americana. Caratterizzato da un lessico tipicamente giovanile tendente al facile turpiloquio e da situazioni di non facile gestione che proliferano all’interno di un’ atmosfera a metà tra l’horror e la commedia, Terkel è un’ animazione capace di attirare l’attenzione dei più giovani, finalmente rappresentati da un prodotto a loro realmente destinato, e che amplierà lo sguardo degli adulti sul mondo scolastico non del tutto semplice e gestibile.

Dal fenomeno del “bullismo”, alle difficoltà di inserimento vengono affrontate problematiche quotidiane quali le violenze verbali, le umiliazioni fisiche e la diretta e quanto mai impietosa cattiveria che solo l’adolescenza riesce a generare con tanta precisione. Per la prima volta un cartone animato rompe il tabù della morte violenta, riuscendo a mostrare suicidi, omicidi all’interno di una atmosfera estrema e delirante. Ma al di là dei contenuti e dei messaggi, ciò che ha contribuito a trasformare Terkel in un’ esperienza unica nel suo genere è stato il team di doppiatori scelti per l’occasione. Accanto all’ironica Lella Costa ed al simpatico umorista Claudio Bisio (che tra l’atro per tutto il film ha un solo tipo di battuta: “No”) scende in campo la squadra al completo di “Elio e le storie tese” che, con il loro umorismo irriverente e caustico, sembrano adattarsi con naturalezza alla atmosfera generale. Per finire, non aspettiamo di trovarci di fronte alla bellezza grafica di Alla ricerca di Nemo, né alla romantica e fiabesca avventura di Shrek con tanto di morale “politically correct”. Probabilmente le vicende di Terkel potrebbero non piacere, scandalizzare o impaurire, eppure dietro l’eccesso quanto mai estremizzato di un film si nasconde la necessità di ascoltare e osservare un mondo ed un universo, che troppo viene dato per scontato. Non necessariamente l’infanzia e l’adolescenza sono un eterno parco giochi, ed è bene che gli adulti se ne rendano conto.

di Tiziana Morganti