La società non riconosce né comprende più il sogno o l’ideale come parte del pensiero umano. Lo consente fino a quando resta nei limiti dell’irraggiungibile, lo circoscrive in uno schema semplice e chiaro definendolo utopia, in qualche caso addirittura pazzia, e così lo esclude, lo emargina. Ne è profondamente convinta la trentanovenne regista campana Viviana Calò che lo sottolinea nel suo originale film Querido Fidel, nei cinema dal 18 novembre.
Protagonista un eccezionale Gianfelice Imparato nei panni di Emidio, il Comandante, il sognatore, il picchiatello, che vive l’eterno conflitto tra la propria ideologia e la realtà con cui è costretto a confrontarsi tutti i giorni.
Un socialista tanto appassionato da aver trasformato casa sua in una roccaforte del Socialismo Reale. Scrive ogni mese a Fidel Castro regolari rapporti sul suo esperimento e riceve sempre una puntuale risposta. Ma è il 1991 e deve fare i conti con il mondo che sta inesorabilmente cambiando.

In famiglia la moglie Elena (Alessandra Borgia) e la nipotina Celia (Marcella Spina) appoggiano con amore la sua battaglia. Ma il figlio Ernesto (Marco Mario De Notaris) è la dolorosa spina nel fianco: è un devoto del sogno americano.
Emidio tiene viva la sua fiamma fino al parossismo. Il gap ideologico e generazionale è portato all’estremo, ad un livello quasi surreale, dove il grottesco, l’ironia, l’amarezza e la tenerezza s’intrecciano e compiono l’antico rito della commedia.
Al centro del conflitto un’altra grande protagonista: Napoli. “Una città atipica che – spiega Calò -, nonostante anch’essa sia soggetta alle sue regole, vive ai margini della società contemporanea, custodendo all’ombra dei suoi vicoli una sorta di bolla di autonomia e creatività che lascia spazio e tempo per le differenze, le stranezze e le storture. Una città per i sognatori. Una città per i rivoluzionari”.