Nei cinema “L’industriale” con un sempre grande Pierfrancesco Favino

«Sui giornali leggo che si bruciano miliardi. Ma chi è il piromane?». Giuliano Montaldo ritrova la vena indignata e politica dei tempi di Sacco e Vanzetti, (quarant’anni fa) per affrontare con la sua solita caustica ironia il tema della crisi, economica e morale, che ci ha travolti, magistralmente rappresentata nel suo film L’Industriale, nelle sale dal 13 gennaio. Prodotto da Angelo Barbagallo con Rai Cinema il sostegno della Film Commission Torino Piemonte e della Regione, distribuito da 01, ha per protagonisti i bravissimi Pierfrancesco Favino e Carolina Crescentini, affiancati dagli altrettanto efficaci Francesco Scianna, Eduard Gabia, Elena Di Cioccio, Elisabetta Piccolomini, Andrea Tidona, Mauro Pirovano, Gianni Bisacca, Roberto Alpi.

C’è voluto tempo, racconta il regista genovese all’anteprima stampa romana del film (già presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Roma),  per portare questa storia sullo schermo e ora, sottolinea, la situazione è peggiorata. Montaldo punta l’obiettivo su un quarantenne (Favino) che ha ereditato l’azienda dal padre, ex operaio venuto dal sud e diventato titolare dell’impresa. Ha una moglie bella, ricca e intelligente che lo adora (Crescentini), ma la crisi che sta mandando all’aria la fabbrica  travolgerà anche il loro rapporto di coppia.

La realtà, in questo caso, va come non mai a braccetto con la finzione. «È un periodo terribile – ribadisce Montaldo, che ha scritto il soggetto con la moglie Vera Pescarolo e l’ha sceneggiato con Andrea Purgatori -. Basta farsi un giro al nord per vedere quanti capannoni vuoti ci sono. Una volta da queste crisi uscivamo da soli, ora tutti ci stiamo scottando. Nel film le banche chiudono i rubinetti, gli usurai incalzano, il protagonista non ci sta e tutto va a rotoli spinto dal suo orgoglio ferito ma incrollabile. C’è un delitto e un castigo».

«Gli imprenditori della realtà sono più deresponsabilizzati – puntualizza Purgatori -. Sono pochi quelli che pagano per gli errori commessi. Molti fuggono all’estero o si riciclano, approfittando di regole cambiate continuamente perché si adattino ai loro interessi». Il protagonista del film invece, malgrado l’evidenza tiene duro, non ci sta a dare forfait, lotta da incosciente, come un leone ferito nell’amor proprio, sul lavoro e tra le pareti domestiche.

Purgatori si augura che Monti e Passera vedano il film: «Forse può suggerire qualcosa a chi ci governa – precisa -, ampliare il loro sguardo oltre le pareti di Palazzo Chigi. Monti ha riconosciuto che la tv è un mezzo strategico nella vita del paese. Anche il cinema può essere strategico nel mantenere viva la nostra capacità di raccontare». Montaldo con questo film girato quasi in bianco e nero ci riesce perfettamente, dipanando la storia in una plumbea Torino dove gli aspetti sociali si fondono coi sentimenti, con le crisi esistenziali che non risparmiano nessuno, operai senza stipendio e padroni sempre più soli.

«Il mio industriale rappresenta un uomo del nostro tempo, appiattito sulla ricerca del profitto a scapito della vita – spiega Favino -. È un uomo ostinato e tenace, due virtù per un imprenditore ma negative per la vita privata. Oggi si parla solo di soldi e mai di vita, un aspetto dei giorni nostri che mi angoscia, è vedere sedicenni che pensano solo a fare denaro invece che a studiare. Significa che si vedono come clienti, non come persone. Bisognerebbe pensare al lavoro non in termini di profitto, ma di dignità della persona».