Per distruggere un luogo comune a volte basta solo essere realisti. E un amico non è più un tesoro, ma un cappio che ti si stringe intorno al collo pian piano. Due donne diverse, una giovane e inquieta, una anziana e solitaria, unite da un rapporto in cui l’amicizia è la forma e il ricatto la sostanza. Di pericoli come questo eravamo già stati avvisati: da Cristo fino ad Erich Fromm, sono stati in molti a parlare di relazioni “omicide”, in cui i killer non brandiscono cesoie ma la conoscenza dei segreti più intimi. Questa storia, che ha già conosciuto l’elogio della critica sotto forma di romanzo, nella trasposizione sul grande schermo riesce addirittura a spingersi più in là. Fino alla rappresentazione dell’intreccio di ruoli di cui si nutre ogni rapporto parassitario. Sin dall’inizio, le vite dell’anziana e solitaria Barbara (Judi Dench), e dell’inquieta Sheba (Cate Blanchett), corrono in parallelo. Prima che il patto d’amicizia venga sancito, Sheba esiste solo attraverso gli occhi di Barbara, come racconta la telecamera in soggettiva. Anche lo “scandalo” del titolo, che della storia è il pretesto ma non il cuore, filtra attraverso persiane d’ imposte mal chiuse, carpito dalla curiosità morbosa di Barbara. Da quel momento in poi sarà difficile dividere ciò che la menzogna ha unito.

Un filo fatto anche di particolari insignificanti, come le coroncine colorate del “crackers” (gioco tradizionale inglese), che compaiono nel pranzo di Natale dell’una e dell’altra. Il legame implica alcune rinunce, e una revisione della gerarchia delle priorità: la morte di un gatto può ben valere il segreto di una relazione clandestina. Per la prima volta Judi Dench veste i panni di una donna sola e a “stecchetto” d’amore. Un digiuno che in realtà nasconde una fame bulimica da placare con l’affetto nei confronti di una donna problematica, palpitante di passioni e bisognosa di una guida. Sheba si rifugia poco a poco sotto l’ala protettrice di Barbara, e quasi ritorna bambina. Un’involuzione che Cate Blanchettinterpreta alla perfezione, quando la si vede camminare scalza, sedersi sul water, truccarsi e provare pose conturbanti davanti allo specchio.Fotogramma dopo fotogramma, la trama giunge al collasso finale, anche se la sensazione del danno imminente e irreparabile avvolge tutto il film, merito anche di una colonna sonora che evoca Hitchcock e affini. Con un’amara considerazione: nessuno merita il perdono. Nessuna attenuante dunque, perché la crudeltà del carnefice è solo il riflesso della debolezza della vittima.

di Annapaola Paparo