Come dimenticare gli afosi pomeriggi estivi quando sprofondati in comode poltrone si accendeva il televisore e ci si sintonizzava sulle reti private, buttando l’occhio, sempre più incuriosito, sulle disavventure di perfidi vigili, automobilisti imbranati, mafiosi con scarso senso dell’onore, pistoleri alle prime armi? Oggi, al contrario di allora, mentre solo il pubblico pagava felicemente il biglietto per ridere dietro alle gag “versa lacrime” di comici dimenticati, anche la critica cosiddetta perbenista riscopre il valore di due artisti straordinari: Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Gli spietati Daniele Ciprì e Franco Maresco decidono di dedicar loro un documentario di quasi due ore, zeppo di aneddoti, filmati, memorie, sempre seguendo uno stile irriverente e grottesco. Gli autori parlano di riscoperta sul campo umano prima che artistico: un viaggio iniziato nel profondo Sud della fame e della disperazione, fino alla rincorsa per garantirsi le luci della ribalta sui palcoscenici del varietà e davanti la macchina da presa. Il film diventa un’inchiesta sul come e perché i due conobbero tanto successo: di rito le foto d’epoca in bianco e nero accompagnate da melodie assolutamente in tema, interviste (alcune inedite) a chi ebbe la fortuna di conoscerli, fra tutti un orgoglioso Lino Banfi, e il fatidico incontro, tra amore e odio, con Domenico Modugno vero talent-scout.

Della coppia si conosce troppo poco, dalla proiezione e dalle testimonianze dei figli si evince una passione sviscerata per la comicità del mattatore a stelle e strisce Jerry Lewis consumata da Franco; in effetti a pensarci bene molti dei suoi sketch lo rendono un burattino slegato, un pupazzo di gomma (capace come pochi di tenersi in equilibrio nella famosa performance della bilancia) confinante con la mimica slapstick e surreale del divo hollywoodiano. Quanto a Ciccio, la voce fuoricampo di Ciprì ci informa del suo amore sconsiderato per lo spettacolo e dei numerosi tentativi per esservi protagonista, con alle spalle i pesanti fardelli di una meridionalità verace: era lui, lo smilzo Ingrassia, il vero sperimentatore, disposto a seguire anche sentieri tortuosi e impegnativi dell’arte (cosa che in futuro farà nel cinema d’autore). La ricerca però assume un’impronta molto originale e spassosa, poiché se si fosse trattato della diffusione di reperti riaffiorati negli archivi dei due comici, ci saremmo trovati di fronte all’ennesima puntata sul mondo del varietà condotta da validi studiosi; invece gli inventori del rivoluzionario contenitore “Blob cinico” introducono voci e personaggi, su tutti il “giovane critico”, continuamente interrotto (irresistibile).

L’opinione di Goffredo Fofi sul cinema, poi definito trash, si consacra con una battuta divertente e imprevista, ed anche Tullio Kezich ammette con franchezza di aver riso a crepapelle ad ogni proiezione di Franco e Ciccio, ma di non esservi mai riuscito a parlare bene. Lo stesso Ciprì considera molte delle pellicole girate dagli attori davvero brutte e condannabili, eccetto quelle di Lucio Fulci, che da buon artigiano, sapeva come sfruttare la vis comica dell’uno e i tempi perfetti dell’altro. Capolavori come 002 operazione lunaI due evasi del Sing SingCome inguaiammo l’esercito e Come rubammo la bomba atomica per il quale si è parlato di una sorta di rievocazione modello b-movie della famosa scena stracitata de Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick, vedono ancora passaggi televisivi nelle ore più impensate. La partecipazione di Gregorio Napoli (già ospite ne Il conte di Cagliostro) e del fedele Tatti Sanguinetti non fa che rafforzare una squadra vincente e la dice lunga su come la critica guardava quel tipo di pellicole. Geni indiscussi del calibro di Totò e gli stessi interpreti palermitani furono massacrati in vita e poi riscoperti con il cinema d’autore (si pensi a Che cosa sono le nuvole? di Pasolini o a partecipazioni più recenti alla corte di Pirandello per i fratelli Taviani (Kaos episodio La Giara) o del redivivo neorealismo di Luigi Comencini per la sua personale lettura del Pinocchio di Collodi. Gli ultimi anni di vita del duetto presenta momenti di difficoltà e incomprensioni (i due si lasciano e si riprendono come innamorati) e si abbattono su Franchi come una scure portandolo ad una rapida malattia verso la morte (pesanti accuse di concussione mafiosa, poi smentite). L’ultimo saluto spetta al collega e amico Ingrassia il quale ama ricordarlo come un grande artista mentre ripercorre nel funerale i luoghi natali del compagno di giochi appena emigrato.

di Ilario Pieri