Come nella valle padana la linea dell’orizzonte unisce e fonde tra loro cielo e terra, allo stesso modo Luca Mazzieri crea un tramite d’unione tra cinema e teatro, lasciando che il primo fotografi il secondo utilizzando i tempi dilatati e sospesi del palcoscenico. Ed è così che la vicenda di sei personaggi imprigionati nelle cause e negli effetti di una seconda guerra mondiale oramai agli sgoccioli, diviene un semplice pretesto narrativo per evidenziare i dilemmi di una umanità perennemente sospesa tra la concretezza drammatica ed ineluttabile della terra e l’ambiziosa leggerezza del cielo. Una divisione raccontata attraverso l’universalità dello spazio e l’indeterminazione temporale atte a rappresentare quasi un non luogo collocato in un’epoca qualsiasi. Pur se l’intera storia si svolge all’interno delle mura circoscritte di un villaggio abbandonato e nei locali scoloriti di un teatro verdiano tempio dell’universale canto alla libertà (L’aria Va’ pensiero tratta dal Nabucco sovrappone il peso della dominazione austriaca a quella tedesca vissuta durante il secondo conflitto mondiale e si fa portavoce di un’universale necessità di liberazione), la collocazione perde importanza, scolorisce di fronte alle scelte che condizioneranno il destino dei protagonisti.

Chiusi, imprigionati in questa naturale scenografia mettono in scena le loro incerte esistenze, cercando la propria collocazione come confusi e sbalorditi personaggi pirandelliani. Ogni azione, ogni frase ed ogni pausa portano con sé il ritmo e la metrica di una rappresentazione che sembra sintetizzare la drammaturgia di un’opera greca. Al di là della guerra capace di distruggere le speranze di una Italia anni ’40, al di là dei nemici che nel tempo della disfatta sempre più assomigliano alle loro vittime, esiste un “deus ex machina” che, al di sopra dell’umano volere, tira le somme del dolore e della sofferenza, lasciando alla musica il compito riassuntivo ed enfatico di un coro greco. Dunque un’opera certo di non semplice fruibilità quella costruita da Mazzieri ed interpretata da Gian Marco Tognazzi, Anita Caprioli e Fabrizia Sacchi, i quali dimostrano una sicura ed evidente attitudine ai toni e alle atmosfere teatrali. Un film, questo, che potrà incontrare il favore di una certa parte di pubblico o non soddisfare chi è abituato ad una cinematografia più attiva, ma che sicuramente non passerà inosservato per scelte stilistiche particolarmente inconsuete e coraggiose in tempi in cui impera la velocità.

di Tiziana Morganti