Due volte al giorno, all’entrata e all’uscita da scuola, il piccolo Charlie Bucket passa davanti alla maestosa fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. Costretto in un casa piccola e cadente, il piccolo Charlie vive con i genitori e i quattro nonni che dormono in un unico letto. Ogni sera, dalla sua mansardina con i buchi nel soffitto, è solito ammirare quella struttura così misteriosa, lugubre ma affascinante al tempo stesso, un impianto industriale dal quale nessuno entra o esce da quindici anni ma che ogni giorno sforna quintali di squisitezze per i bambini di tutto il mondo. Un giorno l’eccentrico proprietario della fabbrica fa un annuncio straordinario: aprirà i cancelli e rivelerà tutti i segreti della sua attività ai cinque fortunati possessori dei “Golden Ticket” nascosti nelle sue barre di cioccolato. Sarà l’occasione per un viaggio nel paese delle meraviglie, ma anche per imparare qualcosa sui valori reali. È la storia della nuova magia di Tim Burton, ispirata all’omonimo romanzo di Roald Dahl pubblicato per la prima volta nel 1964, oggi tradotto in ben trentadue lingue e già portato sul grande schermo da Mel Stuart nel 1971, quando Wonka era Gene Wilder. Il matrimonio tra Dahl e il cinema compie così 40 anni – il primo film tratto da uno dei suoi romanzi è 36 Hours del ’65 e nel ’67 Dahl ha scritto la sua prima e unica sceneggiatura, quella di Agente 007 – Si vive solo due volte. «Alcuni adulti dimenticano cosa vuol dire essere bambino, Roald non ha mai fatto questo errore» afferma Tim Burton, un regista che per il suo dodicesimo film ha scelto di rinnovare due importanti collaborazioni, con Johnny Depp e John August: il primo ritrova l’amico regista di Edward mani di forbice – ancora oggi ritenuta una delle sue migliori interpretazioni -, Ed Wood e Il Mistero di Sleepy Hollow, mentre il secondo era già presente in Big Fish ed è allo stesso tempo un grande fan dei racconti di Roald Dahl dai tempi delle scuole inferiori.

Quella di Burton è un’operazione da 150 milioni di dollari – decisamente troppo hanno scritto in molti – ma le giustificazioni della produzione riguardano l’inimitabile rappresentazione visiva di Burton unita all’interpretazione tragicomica di Johnny Depp, che riesce a portare sullo schermo un Willy Wonka davvero unico. Nel circo Burton è proprio lui la prima attrazione, vestito dalla nostra Gabriella Pescucci con un abito finto-dandy e capelli da paggetto, Depp sostituisce il caustico Wonka di Gene Wilder con un misto tra le eccentricità di una rockstar e le fobie di un personaggio alla Howard Hughes: «Il suo pallore – dice Depp – testimonia la sua lunga reclusione e i guanti sono un segno distintivo del suo disprezzo per il contatto umano». Burton e August si sono quindi impegnati non solo in una rinnovata rappresentazione visiva del libro di Dahl, ma vi hanno aggiunto un maggiore spessore umano, invertendo i poli d’attrazione. Al contrario del nome riportato nel titolo in Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato era Charlie – interpretato dall’allora quattordicenne Peter Ostrum – a monopolizzare il racconto con particolare cura verso il suo rapporto con la madre e il nonno Joe, e ricchezza di intermezzi musicali cantati e ballati. In Charlie e la fabbrica di cioccolato è invece Willy Wonka a raccontarci la sua storia con frequenti flashback che lo portano a rivivere la sua infanzia, a quando doveva subire torture di ogni tipo da parte del padre dentista Christopher Lee in un casa dove i dolci erano banditi al pari degli eretici nel Medioevo e al tempo della scoperta del popolo degli Oompa-Loompa che adotterà come unica manovalanza nella sua fabbrica delle meraviglie.

Il viaggio del goloso Augustus Gloop, della viziatissima Veruca Salt, della masticatrice di chewing-gum Violet Beauregarde, del videodipendente Mike Teavee, e di Charlie, avviene in un mondo fatto di cascate e fiumi di cioccolato, di alberi commestibili e futuristici macchinari. È la fabbrica di cioccolato ricostruita all’interno degli studi londinesi Pinewood da un nutrito cast di tecnici specializzati. «Per ricreare il mondo di Wonka – dice Burton – ci siamo attenuti al libro di Dahl cercando di rimanervi fedeli nei particolari, come nella stanza delle noci o in quella della Tv. Invece di usare schermi blu o verdi abbiamo preferito costruire veri set per farvi muovere gli attori in modo più realistico». La prostetica e gli effetti speciali sono stati curati da Joss Williams (Troy) e solo quando si arrivava al limite si ricorreva agli effetti visivi, coordinati da Nick Davis (Harry Potter e la pietra filosofale), come nel caso delle comparse degli Oompa-Loompa, tutti interpretati dallo stesso attore, Deep Roy, moltiplicato con le tecniche del motion e del facial capture. È lui a danzare sulle coreografie e sui brani composti (e interpretati) da Danny Elfman, raccontando in musica i destini dei quattro pestiferi bambini. Il piccolo Charlie ha il volto di Freddie Highmore, a suo agio per aver già lavorato con Depp in Neverland – Un sogno per la vita e con Helena Bonham Carter in Talking Dirty. A lui il compito di erudire il freddo e fobico Wonka sul valore della famiglia in un finale dalla morale rafforzata e dominante. Tra Charlie e Wonka c’è un vero e proprio scambio di preziosità: il primo riceve in dono la custodia delle meraviglie della fabbrica di cioccolato, il secondo un ben più prezioso scrigno dei tesori da custodire gelosamente: la magia di un focolare domestico ripreso in visuale aerea come nel Solaris di Tarkovskij.

di Alessio Sperati