Dopo due lungometraggi lievi, spensierati e attraversati da un’esile malinconia come Ognuno cerca il suo gatto e L’appartamento spagnolo, Klapisch abbandona temporaneamente le commedie amorose e generazionali per rinverdire il genere poliziesco che, negli ultimi anni, è stato completamente alla mercé della televisione. Usciti di scena, ahimè, da troppo tempo e senza ricambio figure mitiche, icone del polar (il termine, per fare chiarezza, è un’espressione francese, contrazione tra literature e policier. Nel linguaggio d’uso comune, colloquiale è diventato sinonimo di poliziesco. All’estero con il termine polar si intende comunemente il noir francese, per distinguerlo dal poliziesco americano) come Jean Gabin e Lino Ventura, che nei loro personaggi sempre ai confini della legalità, ammaliavano con il loro fascino gaglioffo ed irresistibile (su i due attori e sui registi più importanti da Melville a Becker fino a Claude Chabrol, il critico cinematografico varesino Mauro Gervasini ha dedicato uno studio approfondito, il primo in italiano). Ai suoi conterranei Klapisch recepisce anche la lezione di John Huston e del Martin Scorsese di Casinò, rispettando codici e convenzioni stilistiche e di drammaturgia, ma mantenendo una sua originalità.

Il film, però, non è del tutto risolto; diviso in due parti ben distinte, una che si avvita su toni da commedia tout court, l’altra che rispetta in piena il cotè noir, si ha sensazione che il mix sia un poco maldestro o meglio, la banda di gangster che reclutano Caty per svaligiare gioiellerie fino al colpaccio finale si presenta come un’accolita di compagnoni affetti da etilismo acuto e nessun uomo della banda ha un vero spessore esistenziale, giacché Klapisch indugia in cliché esagerati e grotteschi, procurando allo spettatore una sensazione di incoerenza esagerata. La seconda parte, invece, è un videoclip efferato in cui il colore giallo e verde la fanno da padroni e a noi italiani non resta che rimpiangere lo splendido bianco e nero de I soliti ignoti. Dove invece, il cineasta non sbaglia è su come dirige gli attori, eccellenti tutti, soprattutto Marie Gillain (che ricorda la nostra Valentina Cervi) e Vincent Elbaz. Autoreverse, insomma, è gradevole come commedia drammatica, ma non ha il coraggio di affrontare seriamente il filone noir francese e anche la morale sottesa, che il male è in ognuno di noi e che fa parte della nostra vita e anche una ragazza “normale” può svoltare in un mondo delinquenziale infetto da machismo si sperde nelle caratterizzazioni burlesque dei personaggi. Ultima annotazione, la colonna sonora è veramente sorprendente e degna di nota.

di Vincenzo Mazzaccaro